
Pochi giorni fa la nostra Costituzione ha compiuto sessant'anni. Solo negli ultimi mesi ho scoperto l'importanza e soprattutto la bellezza di questo testo.
Ho capito quanta fatica, quanto sudore, quanta voglia di libertà si celano dietro quei 139 articoli.
Facendo correre un po' l'immaginazione, ho tentato di immedesimarmi in quegli anni difficili dell'immediato dopoguerra, in quell'Italia allo sbando, in quel paese da ricostruire. Ed ho trovato fra le righe della Costituzione tutta la forza esplosiva della voglia di rinnovarsi, di ripartire, di ricominciare praticamente daccapo.
Eccoli, allora, quegli anni fantastici in cui "i piccoli miracoli" (di cui parlavo ieri) accadevano davvero. In cui destra e sinistra si tendevano la mano, ben sapendo che il loro lavoro superava le divisioni, gli spazi, i tempi.
Ho capito, inoltre, che anche dopo ben sessant'anni quei princìpi, quei valori, quella serie di diritti e doveri sono attualissimi tutt'ora. Certo, forse ci sarebbe bisogno di una "rinfrescata" alle pareti, ma l'intera costruzione regge benissimo.
Ne è venuta fuori una Bibbia che nulla ha a che fare con la religione. Un testo che guida, consiglia, indica una strada. Che non impone con la forza né con la coercizione.
C'è però qualcosa che, se penso alla Costituzione, mi lascia con l'amaro in bocca: vedere come, in tutti questi anni, essa sia stata dimenticata. Talvolta calpestata, se non maltrattata. In quegli articoli ci siamo noi, il nostro paese, il nostro modo di intendere la vita sociale. E allora perché in Parlamento si sono seduti e si siedono persone che di quella carta non sanno che farsene? Che pensano ad una politica tutta loro? Che non amano quel testo come meriterebbe di essere amato?
Forse hanno perso la bussola e non sanno che la nostra stella polare è lì. In quei 139 articoli.
P.S.: davvero interessante è il libro "La Costituzione" di Valerio Onida, edito dal Mulino. Un testo che spiega come, quando, in che Italia è nata la Costituzione.
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