lunedì 21 gennaio 2008

Voglia di parole


Foto di Kerotan
Da piccolo, quando andavo ai giardini pubblici, una cosa su tutte, in particolare, attraeva la mia attenzione: le scritte lasciate sulle panchine, sui muri o sui giochi per bambini. Anche ora che sono cresciuto mi attraggono in maniera quasi irrefrenabile. Mi danno modo di immaginare: chi sarà passato di qui? Che storia ha alle spalle? Perché avrà sentito la necessità di lasciare una traccia? Cosa provava dentro sentendo di dover esternare qualcosa?
C'è chi inorridirà di fronte a queste considerazioni, credendo (a ragione) che ciò che è di tutti va rispettato e non maltrattato. Giusto, ma trovo bellissima questa voglia di parole, di parlare, di lasciar correre libera, senza briglie la comunicazione. Ciò che uno si sente dentro. Difficilmente quelle scritte sono lì tanto per fare, fini a loro stesse: dietro si cela una storia, la necessità forte di esternare al mondo qualcosa. Un amore, un dolore, un sorriso, una lacrima. O, perché no, l'incapacità di comunicare. Anche quella può essere scritta su una panchina.
Ora che conosco questi temi un po' più da vicino, mi rendo conto che questa voglia rimane. Viva ma non immutata: forse le classiche frasi d'amore sullo scivolo, o i nomi di due innamorati incisi su un albero esistono ancora. Ma le vedo molto meno.
Vedo chiaramente come "nuovi spazi bianchi" vengano puntualmente riempiti, se c'è qualcuno che vuole dire qualcosa: basti pensare alle frasi vicino agli avatar su Messenger, ai messaggi scambiati nei commenti ai file di eMule, alle tagboard sui forum, sui siti web, sui blog. Dove c'è possibilità di lasciare una propria traccia, c'è qualcuno che ha qualcosa da dire. E che vuole riempire quello spazio bianco con parole proprie.
Trovo stupendo, poetico tutto questo. Se solo ripenso a quei giardini, al verde degli alberi bagnato dal sole fioco del tardo pomeriggio, a quelle panche e a quei tavoli tutti scribacchiati quasi mi commuovo.
Mi domando però: come mai, allora, spazi più importanti, più ampi, più strutturati nei quali si fa comunicazione, non vengono riempiti a dovere? Perché la televisione, strumento utile, che non aspetta altro se non di esser riempito di belle parole, rimane un recipiente vuoto? Lascio cadere la maschera e parlo chiaro: perché si concede spazio (e milioni di euro) a programmi come 'La vita in diretta' e 'Uomini e donne'? Perché?

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