
Foto di gaetans
Sono bastati pochi giorni, e in Italia molte cose sono cambiate. Avrei dovuto e potuto raccontarle in presa diretta. Ma non l'ho fatto. Tenterò ora di recuperare...
Fra tutte, ovviamente, è impossibile non citare le elezioni indette per il 13 e 14 aprile. Com'è logico che sia, un avvenimento come questo rappresenta uno snodo importante nella vita politica e sociale del nostro paese. Ed è altrettanto normale che su di esso, volenti o nolenti, si riversino attenzioni, attese, speranze, opinioni anche discordanti.
Credo di viverle anch'io in questo modo: per questo ho deciso di "spezzare" il tema in due post differenti. Uno per ripercorrere le tappe che ci hanno portato sino a qui. L'altro per tentare di guardare al futuro. Immagino già che il primo sarà un intervento in cui si mescoleranno delusione, malcontento, stanchezza. Il secondo sarà più costruttivo, speranzoso, positivo.
Sarà il tempo (e non ne servirà neppure molto) a dire quale dei due stati d'animo avrà la meglio sull'altro. Vado? Vado.
Poco più di due mesi fa il governo è caduto. Qualcuno dirà oggi che "tanto prima o poi sarebbe successo" o che "era impossibile governare in quelle condizioni". Non sono del tutto d'accordo perché personalmente ritenevo quello dell'Unione un buon progetto. Soprassediamo. Focalizziamo sul come è caduto, non tanto sul quando: il governo è caduto perché un partituncolo ha deciso di uscire dalla coalizione di centro-sinistra. Ne è uscito perché lo ha deciso il suo leader. Il suo leader ha preso questa decisione perché avevano fatto un torto a sua moglie.
A due mesi di distanza ecco i risultati: siamo andati alle elezioni perché nessuno poteva permettersi di toccare la signora Lonardo in Mastella. La sua vicenda, come s'è visto poi, si è risolta nella classica bolla di sapone ma sull'alone scivoloso della stessa c'è caduta con entrambi i piedi tutta l'Italia. Per non parlare del Clemente nazionale: scomparso dall'universo politico italiano in men che non si dica. Come una fugace stella nei cieli di San Lorenzo. Bel guadagno, eh?
Ecco dov'è lo scoramento, il dispiacere: in fondo, in questo paese, non siamo tutti uguali. Non tutti abbiamo gli stessi poteri. O quantomeno, non tutti possiamo influire come vorremmo sulla vita politica. C'è chi può permettersi il lusso di far cadere i governi, calpestare programmi e promesse, di rovesciare le speranze delle stesse persone che, col loro voto, lo hanno fatto sedere in Parlamento. È o non è un'assurdità?
Questa, per sommi capi, è la causa primaria di tutta la questione. Nel descriverla, non si sa se prevale il riso o il pianto. Ma non è finita qui, perché dopo la causa seguono gli effetti.
Far cadere un governo significa andare a nuove elezioni. Nuove elezioni significa votare con un metodo cervellotico, liberticida, desolante. L'illogicità del "Porcellum" (un nomignolo che è tutto un programma) è palese, lampante. Eppure siamo costretti a trascinarcelo, di nuovo, nell'urna. Come una pesante palla al piede dei cittadini, che non sono più in grado di vivere la cosa pubblica come dovrebbero e potrebbero fare. Liberamente. Con la propria testa. Il che è assai grave: in altri paesi, ciò non sarebbe accaduto. Ma da noi, si sa, l'assurdo e la realtà hanno svariati punti di contatto.
E poi, di nuovo, la campagna elettorale: nuovi proclami, nuove accuse, nuovi tatticismi. Anche se poi, alla fin fine, la finalità è sempre la stessa: screditare l'avversario facendo leva sull'emotività, sulle bugie, sul populismo. Almeno, per come la vedo io, tutto ciò si ode da un solo fronte di questa battaglia politica. Per fortuna non tutto gira in questo modo.
Ma questa è un'altra storia, un altro tipo di sensazione che mi suggeriscono queste settimane, in cui la tavola elettorale va man mano imbandendosi. Ne parlerò domani.
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