
Foto di PDnetwork
Tanti ragionamenti e idee si sono accavallati in questi giorni fra i miei pensieri. Gran parte di questi in merito alla campagna elettorale ormai agli sgoccioli ed altri di varia natura. Difficile scegliere. Mi ero riproposto di accantonare, almeno per un poco, la politica. Almeno di questo ero certo.
E invece ho deciso di tornare a parlarne perché in questi ultimi giorni ne sono successe di cotte e di crude. Gli attacchi un po' sbracati e ricchi di gaffes da sono giunti copiosi come non mai. Da destra, ovviamente. Tentando di ragionarci su, cercavo le parole per descriverli, per stigmatizzarli, per osservarli a fondo anche in previsione futura: con queste premesse, come può tornare al governo questa coalizione così cialtrona, facilona, raffazzonata? Come descrivere le non poche differenze che intercorrono fra una parte e l'altra? Come metterle in evidenza?
Su Repubblica oggi è uscito un articolo molto interessante, serio, preciso. Me ne servirò per tentare di rispondere a queste domande. Da solo difficilmente ci sarei riuscito. Lo ha scritto Sebastiano Messina, s'intitola 'La pancia della destra':
Non è niente male, "Veltrusconi", come slogan propagandistico. Rende benissimo l'idea di due che fingono di litigare ma, sotto sotto, sono d'accordo. Anzi, "già fanno le stesse cose", ci spiega il serafico Boselli. "Come i ladri di Pisa" sussurra giudizioso Casini. Eppure "Veltrusconi" è la più gigantesca bufala di questa arruffata caccia al voto. Per capirlo, basta fermarsi un momento ad ascoltare quello che succede in un giorno di campagna elettorale. Prendiamo ieri.Un bell'articolo, forse troppo lungo per i canoni di un blog ma da leggere per intero. Per capire. Per descrivere le premesse di questa tornata elettorale. Un domani, nel bene e nel male, ne vedremo le conseguenze.
L'ultimo martedì prima del voto si è aperto con un amletico dubbio sul futuro politico di Umberto Bossi: sarà di nuovo ministro, se vince il centro-destra? Tornerà davvero al governo, giurando fedeltà a una Repubblica che disprezza, uno che ancora lancia minacce "ai romani" con la burbanza di Brenno ed è capace di dire che se non si fa subito come dice lui "potremmo imbracciare i fucili"? Un imbarazzato Berlusconi svicolava, spiegando che Umberto, lo sanno tutti, non sta poi benissimo, e poi in fondo non gli ha chiesto nessuna poltrona, ma ci voleva il leghista Borghezio a mettere le cose in chiaro: se Bossi non fa il ministro, avvertiva "allora tanto vale riprendere la lotta dura e pura", ovvero "la secessione, l'unica via rapida e giusta per ottenere la libertà".
E mentre noi ci domandavamo se fosse quella evocata da Borghezio la "libertà" che Berlusconi ha voluto nelle sue insegne, ecco che si apriva un nuovo e non meno sconcertante fronte. Il senatore Marcello Dell'Utri, che è la vera eminenza grigia della corte berlusconiana, pensa che sia arrivato il momento di aprire un discorso sulla Resistenza. Che lui scrive rigorosamente senza la maiuscola, perchè la trova enfatica e pomposa. "Se dovessimo vincere le elezioni - ha promesso l'uomo che costruì Forza Italia in un mese - saranno revisionati i libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della resistenza". Magari potrebbero pensarci il senatore Ciarrapico e l'onorevole Mussolini, chissà.
Già che c'era, il senatore [...] ha pensato bene di togliere un po' di retorica anche all'antimafia, paragonandola a una "sorta di brand", un marchio pubblicitario. E rivalutando il suo vecchio amico Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore che venne sì condannato in primo grado all'ergastolo per mafia, però non volle mai accusare lui e Berlusconi, e dunque "è un eroe". [...]
Poteva bastare. Ma Berlusconi, da Savona, ha voluto metterci il carico da undici. Contro quelli che lui considera il pericolo pubblico numero uno: i magistrati. "Il pubblico accusatore deve essere sottoposto periodicamente a esami che ne attestino la sanità mentale". [...]
Dalla sponda opposta [...] non sono arrivate parole di fuoco. Sono partite, semplicemente, una telefonata e una lettera. Una telefonata di solidarietà al pm di Catanzaro Pier Paolo Bruni [...]. E una lettera per il suo avversario.
Veltroni invitava Berlusconi a dare "formalmente e in modo vincolante" una "garanzia di lealtà repubblicana" per tutta la sua coalizione: difesa dell'unità nazionale, rifiuto di ogni forma di violenza, fedeltà ai valori della Costituzione, rispetto per il tricolore e l'inno di Mameli. [...]
Quello che alla stragrande maggioranza degli italiani sarebbe sembrato un impegno scontato è stato immediatamente evitato da Berlusconi come se fosse una trappola comunista. Invito "irricevibile". E perché? Perché Veltroni - ha spiegato il leader del Pdl rigirando la frittata - "non ha alcun titolo per dare patenti di lealtà repubblicana".
E i fucili minacciati da Bossi? E la secessione promessa da Borghezio? E l'antifascismo che Dell'Utri vuole ridimensionare, riscrivendo la storia come se fosse una fiction di Canale 5? Ma via, Veltroni non stia a spaccare il capello. Gli italiani conoscono Berlusconi, hanno già capito che, se lui vince, stavolta si fa a modo suo. Altro che "Veltrusconi".
Nessun commento:
Posta un commento