giovedì 25 settembre 2008

Il problema del grembiule


Foto di * vespertine
"Giovani": un aggettivo vago, una categoria ampia alla quale, chissà ancora per quanto tempo, credo di appartenere anch'io. Per capire meglio questo mondo ho deciso di leggere un libro molto interessante: si tratta de "L'ospite inquietante - Il nichilismo e i giovani" del filosofo e psicanalista Umberto Galimberti. Di temi, problematiche, spunti di riflessione se ne trovano a bizzeffe. Un capitolo, in particolare, mi ha molto interessato: quello sulla scuola. Impossibile non collegarlo, uscendo dalle pagine del libro, con l'attualità e col chiacchiericcio che ha seguito la "riformina" del ministro Gelmini.
Dice Galimberti, dopo aver descritto i tanti mali di cui soffre la nostra scuola:
essi si possono risolvere solo con la formazione, non solo la preparazione, di professori che abbiano come tensione della loro vita la cura dei giovani. E come non si può fare i corazzieri se si è alti un metro e cinquanta, cominciamo a chiederci perché si può insegnare per il solo fatto di possedere una laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza psicologica, alla capacità di comunicazione, al carisma.
Difficile trovare parole migliori. Si tratta di un concetto che credo di possedere da tempo, ma che non sono mai riuscito a mettere in parole: la scuola è un'istituzione fondamentale, peccato che le sue strutture vacillino in un gioco al ribasso che porta tanto gli insegnanti quanto gli alunni a fare sempre di meno. A non capirsi e a non capire ciò che devono fare.
Galimberti arriva ad un nodo cruciale, arrivando a spiegare quali devono essere le competenze di chi insegna. Perché solo così si potrà ritornare a far funzionare la scuola, a riconsiderarla come uno strumento ultile per la società.
Quanta rozzezza, quanta faciloneria ci sono invece nei provvedimenti studiati dalla Gelmini: grembiule, maestro unico, voti espressi in decimi, bocciatura per cattiva condotta. E via, pochi discorsi. Come se queste fossero le vere soluzioni ai problemi di una classe: impassibilità, intolleranza, pugno duro.
Questa gente che governa, che legifera, che decide delle sorti di milioni di persone vive una vita già piuttosto distante dalle piazze, dalle strade, dalle case della gente "normale". Figuriamoci se questi signori (e signore) sanno qualcosa di quel che accade dentro una scuola. Di conflitti, di paure, di speranze disattese, di frustrazioni (sia per chi insegna che per chi impara) ce ne sono a non finire. Eppure, per loro, il problema principale è quello del grembiule.
Assurdo.

P.S.: consiglio di vedere questo video in cui Galimberti discute de "L'ospite inquietante" con Corrado Augias.

martedì 23 settembre 2008

Amore (ed altro) al tempo dei reality


Foto di catacresi
Potenza della televisione: è il primo elettrodomestico in grado di scrivere pagine importanti all'interno della biografia di ognuno di noi. Alzi la mano chi non ricorda un anno particolare, un avvenimento, un momento della propria vita associato ad un programma televisivo, ad un fatto raccontato da un tg, ad un telefilm. Di per se la cosa non mi scandalizza, anzi mi sembra interessante. Bisognerebbe però capire da quali esempi prendiamo spunto e quali tracce lasciano nella nostra vita.
Ci sono stati gli anni di "Non è la RAI", quelli di "Beverly Hills 90210", di "Friends". E si potrebbe continuare all'infinito. Ma oggi?
Oggi esiste solo il reality, il reality sopra ogni cosa: è da lì che un gran numero di giovani e giovanissimi attinge modi di dire, di comportarsi, di atteggiarsi. Da lì s'impara come gestire sentimenti, emozioni, speranze.
Personalmente, spero che certi esempi vengano guardati con un certo distacco, con un filo di divertita compassione se serve. Ma che non entrino mai a far parte del proprio modo di essere. Perché potrebbe essere molto pericoloso.
Provo a fare alcuni esempi, giusto per capire cosa succede: mi viene in mente
il modo in cui viene trattato l'amore in tv. Ogni giorno, dopo pranzo, si vedono su Canale 5 ragazzi e ragazze che si prendono, si mollano, si riprendono, fanno diventare una soap opera i loro sentimenti, ci giocano quasi. Mettendo la propria storia in pubblico si diventa famosi, si ha un pubblico. E nella vita reale, quella di tutti i giorni, fatta di scuola, casa, amici, passeggiate in centro e cellulari, ci sono una miriade di ragazzini pronti a fare lo stesso. A comportarsi allo stesso modo. Lo trovo assurdo.
Ma, cambiando leggermente discorso, penso anche ad altri reality show, quelli in cui i protagonisti sono divisi in squadre: litigano, blaterano, fanno discorsi inutili, una "giuria" di incompetenti rincara la dose,
il pubblico a casa è chiamato a prender parte e a schierarsi. Ecco, è la forma più moderna ed aggiornata del "divide et impera": i reality ti spingono a pensare a cose frivole, intanto la vita passa e per le scelte più importanti c'è qualcun'altro che decide per te.
E questo il Presidente del Consiglio, nonché i proprietari dei maggiori media del paese (che poi sono la stessa persona), lo sanno bene. Benissimo.

lunedì 22 settembre 2008

Se nessuno parla di cose meravigliose


Foto di Ibleo
In un suo articolo, non molto tempo fa, Ilvo Diamanti tentava di "isolare" e descrivere una caratteristica poco invidiabile della nostra società. Una sensazione diffusa che non ci permette di crescere ed anzi, peggio, ci immobilizza. La definiva "insicurezza per default": aleggia un senso di instabilità tale che neppure ce ne rendiamo più conto. La paura e il fatalismo come elementi costitutivi della nostra cultura. Un'analisi triste, ma tremendamente veritiera.
Un malessere sottile, quasi invisibile eppure a tempo stesso ampio e diffuso che merita di esser studiato da vicino: mi piacerebbe capire da dove nasce, come si è sviluppato, quanto realmente condiziona la nostra esistenza.
Provo a dare una risposta mia, prendendo spunto dal titolo di un libro: il fatto è che nessuno parla più di cose meravigliose. I media ci hanno abituati a fatti "anormali", che meritano di essere raccontati proprio perché sono altro rispetto al normale scorrere della vita: è la crisi ciò che interessa, ciò che esula dalla normalità. Le cose semplici, genuine, quelle sempre uguali a loro stesse non interessano né fanno notizia.
E' così che crolla l'inventiva, la voglia di fare, di sperimentare, di guardare con positività a ciò che si ha intorno. Se la percezione è quella di un mondo visto come la parte mezza vuota del bicchiere, crescere sarà difficile per tutti. Sia per i singoli quanto per le comunità.
Meglio allora vivere in un mondo ridanciano, frivolo, sin troppo spensierato? No, non mi auguro neppure questo. La giusta misura, come sempre, sta nel mezzo: vorrei solo che la nostra società, io, tutti si sia in grado di dare il giusto peso alle cose. Tornando a gioire quando intorno a noi ce ne sono di meravigliose.

domenica 21 settembre 2008

Odio l'estate


Foto di luigi.carrieri
Quando la bella stagione è agli sgoccioli, di solito, non resta di lei che qualche fotografia da guardare, due o tre canzoni da riascoltare, ricordi agrodolci che pian piano diventano sempre più rarefatti. E' fatta spesso di giorni che si vorrebbe rivivere infinite volte. E' veloce, passa in fretta e molto spesso sfugge via senza neppure accorgersene.
A me, però, l'estate non piace. Il caldo, l'aria bollente, il sole che picchia. L'ambiente ideale per mettere sotto sedativi il cervello, abbassare la serranda del ragionare, della voglia di creare, di credere in un'idea. In estate basta una spiaggia, un lettino, un cruciverba e poi chissenefrega. Per questo odio l'estate: non che sia una brutta stagione di per se stessa, quanto più perché passa e, senza che neppure ce se ne renda conto, strascica noia e ripetitività.
Lo vedo intorno a me. L'ho sperimentato lungo tutta questa stagione. L'ho provato sulla mia pelle: avrei potuto raccontare tanto di me, di quel che mi accadeva attorno, di un gran numero di fatti e fatterelli più o meno seri che meritavano di essere appuntati. E che invece si sono liquefatti. Come un ghiacciolo al sole.
Tutto sembrava possibile, tutto poteva accadere. E invece nulla, o quasi. Solo qualche ricordo che già inizia a svanire.
La odio, l'estate.