venerdì 21 novembre 2008

Se governa l'incoerenza


Foto di eddypedro
Giorni fa mi sono imbattuto in questo video. Un documento a suo modo rilevante. Perché mi ha fatto dimenticare per un attimo la stringete attualità (che pure meriterebbe più di un approfondimento), dandomi modo di osservare meglio il percorso di questi ultimi mesi e di capire dove siamo oggi, in che Italia viviamo.
Protagonista del video è un consigliere comunale della mia città, che giusto un anno fa, di questi tempi, si batteva per una causa nobile, volta a risvegliare il senso civico e l'interesse per la cosa pubblica. Un azione di una certa rilevanza sul piano umano, culturale e politico. Non c'è che dire.
Sotto lo slogan "Al voto subito", Forza Italia raccoglieva delle firme per mandare a casa il Governo Prodi.
Stop. Pausa. Vorrei che, in un interminabile attimo di riflessione, un brivido carico di sdegno corresse lungo la schiena di chi legge: ma dove siamo? E da quando in qua basta una raccolta di firme per far cadere un governo? Come si fa a far credere una cosa simile alla gente? Quanta ignoranza, presunzione, populismo ci sono in una mossa del genere? Ma la Costituzione non diceva per caso che una legislatura deve durare cinque anni?
Per "Al voto subito" sono state raccolte sette milioni di firme (o settanta milioni, o settecento milioni: le cifre non sono mai state chiare). L'occasione, come dimenticarlo, ringalluzì Berlusconi: forte del consenso popolare, dopo lunghi e travagliati dibattiti in seno al partito, studi, congressi e tavole rotonde, in cinque minuti (e dall'altro di un predellino) decise di sciogliere Forza Italia e di creare un partito nuovo.
Come nel più classico degli "effetti a valanga", ecco quali furono le parole di Fini, che evidentemente non stava al gioco. In diversi articoli del 21 novembre 2007, il Presidente di AN annunciava con parole avvelenate: "Il PdL è solo un colpo di teatro", "Berlusconi non è eterno", "la favola è finita, con me ha chiuso". E altre cose di questo tipo. Questo video ne è la testimonianza.
I bei tempi di piazza San Giovanni, del palco con su scritto "Contro il regime - Per la libertà" (quale regime? Libertà da cosa? Qualcuno lo ha mai spiegato?), dell'allegra mescolanza fra cattolici e ex-post-neo fascisti ("Duce! Duce!" ricordate?) erano finiti.
Poi però la storia recente ha preso un'altra strada, quella dell'incoerenza. Ed allora si è arrivati a tutt'altri orizzonti. Faccio un breve riassunto giusto per capire a quali bassezze ci siamo dovuti abituare.
Riannodando i fili che portano all'oggi scopriamo che la favola Fini-Berlusconi non è finita. Tutt'altro. Non solo il primo ha ceduto docilmente al secondo, ma ha dovuto cancellare dalle schede elettorali il simbolo del suo partito. Salito sul carro del vincitore, è stato pure ricompensato con la prestigiosa poltrona di Presidente della Camera. Figura che, in teoria, dovrebbe essere ricoperta da un uomo integerrimo e tutto d'un pezzo, visto che si tratta della terza carica dello Stato. E invece... eh, che volete farci: siamo in Italia, è andata così.
Non solo: se prima la protesta era legittima, meritevole di essere portata avanti con ogni mezzo (anche la menzogna più spudorata), ora sul Governo e sul Presidente del Consiglio non è concesso dire mezza parola. Già, perché l'ex Premier doveva esser sbattuto fuori da Palazzo Chigi in fretta. Ora quello nuovo dispone del lodo Alfano. Giustificazione? Ma ovvio: "è giusto che Berlusconi, forte dello straordinario consenso ottenuto alle elezioni, ora governi senza essere disturbato da altri pensieri". Signor Alfano, Signor Berlusconi: si ricordino lorsignori che avete semplicemente vinto le elezioni. Non avete preso il potere...
V-Day e V2-Day. Il Circo Massimo riempito dal PD il 25 ottobre. Le proteste pacifiche nelle università italiane. La cittadinanza che si risveglia e chiede di essere ascoltata? Macché: quattro gatti, i soliti comunisti, i soliti "somari" svogliati.
Tutte zecche fastidiose che non vogliono far lavorare il governo. Ma come? Ma se prima era lecito scendere in piazza? E la libertà? Eccola, la libertà. Negata, perché non è quella che vuole il Capo e i suoi "yes-man".
E' il caso di riflettere.
E' inutile continuare a pensare che vada tutto bene, a dire continuamente di sì al Re. E' il caso di iniziare a giudicare. E capire cosa abbiamo perso e cosa abbiamo guadagnato ora che l'incoerenza è al governo.

P.S.: proprio oggi è stato deciso lo scioglimento ufficioso di Forza Italia. Roba breve, di dieci minuti al massimo. Come al solito. Cliccare qui per credere.

venerdì 14 novembre 2008

Impossibile perdersi


Foto di Liberoliber
Un tema abbandonato da un po': presente contro passato, cosa c'è ora e cosa non c'era prima, come possono cambiarci l'esistenza gli oggetti che ora popolano la nostra vita.
Qualche settimana fa ho iniziato ad usare Facebook, un social network di cui mi affascinano più elementi, spesso anche in contrasto fra loro: è utile, divertente, buono per passarci qualche minuto a far nulla davanti allo schermo di un computer. Ma d'altro canto, sa essere totalmente inutile (se ci si passa troppo tempo) e ripetitivo (perché si vengono a sapere fatti e fatterelli che già si conoscevano a memoria). E' in grado di stravolgere concetti ormai consolidati come "amico" o "privacy". Insomma, è strano.
E' strano perché fa cadere ogni velo, ogni cosa è svelata, non c'è più il gusto di farsi domande del tipo: "chissà che fine avranno fatto Tizio e Caio?". Ora è tutto lì, a portata di clic. In una iper-comunicatività che desertifica l'immaginazione. Ne fa perdere il gusto.
Facebook è solo un'esempio: che dire dei tanti altri siti (YouTube e Flickr su tutti), che svelano angoli di vite di cui non avremmo neppure immaginato l'esistenza? Che dire di Yahoo! Answers, dove si possono trovare in pochi minuti risposte facili ad ogni nostro dubbio? Che dire di servizi come Google Maps o ancora oggetti high-tech come i navigatori satellitari?
Si perde il gusto di rimanere con un dubbio, con un "non so". Non c'è più il piacere di sbagliare strada, di prendere itinerari non convenzionali: tutti arriviamo a destinazione, sempre e comunque. Sia col corpo che con la mente.
Arrivo al solito punto interrogativo, gustoso perché so che rimarrà insoluto chissà per quanto ancora: tutto ciò ci può cambiare, cambiare il concetto stesso di "uomo"? Mah. La risposta, ovviamente, su Yahoo! Answers non c'è. Occorrerà pensarci un po' su.

lunedì 10 novembre 2008

Futuro


Foto di Odoreth_99
Mi ricollego ad un tema appena sfiorato nei post precedenti. Il futuro: ce ne sarà uno degno di essere vissuto? Quale sarà? Come sarà?
E' ovvio:" ciò-che-deve-ancora-accadere" è intellegibile per sua natura e non intendo certo mettermi a scrutare una sfera di cristallo per riuscire ad anticiparlo. Non posso prevederlo, ma posso sommariamente tracciarne i contorni con l'immaginazione: ahimé, si tratta di contorni pesantemente sfumati da una folta coltre di sfiducia.
Una sensazione voltatile, passeggera, non tangibile. Eppure presente. Basti pensare ad un semplice dato: se fino a pochi anni fa era visto come sinonimo di "miglioramento" o di "opportunità", ora "futuro" è diventata una parolaccia. Un concetto che non stuzzica più la fantasia, che non è in grado di aprire scenari nuovi, da esplorare con fiducia. Siamo come rattrappiti, tutti o quasi, nell'oggi ed in ciò che è concreto.
"Non esiste più il futuro di una volta": una bella formuletta che sta iniziando a prender piede e a diventare un nuovo motto retorico. Grossolano, forse, ma è così. Un giudizio tagliente ma vero. Desolatamente vero. La mia è la prima generazione da molti decenni a questa parte a non riuscire a sperare in un futuro migliore rispetto a quello conquistato dai propri genitori. I primi a vivere nell'epoca dell'iper-comunicatività, in cui tutti sanno tutto di tutti. Ma dove sono carenti le belle notizie, le storie che danno speranza.
Come dicevo qualche post fa, credo che Obama (pur non essendo un Messia, come molti lo hanno stereotipato) sia stato uno dei pochi uomini politici a mettersi di fronte ad un discorso come questo e a rovesciarlo. A cambiarne le parole, i termini. Iniziando a disegnarne contorni nuovi. In cui il futuro posso tornare ad essere una cosa bella.
Si torna a "sperare nella speranza" e non nella paura. E' un buon segno. O no?

sabato 8 novembre 2008

Il mondo è cambiato?


Foto mia
Sarà poi vero? Potrà questa pur splendida pagina di storia, della nostra storia recente, cambiare il mondo? Cambiarlo davvero? Non per sfiducia, ma non credo possa essere sufficiente: le interazioni che si sviluppano fra gli uomini sono innumerevoli, molte volte al particolarismo, a logiche e tipi di mentalità che sfuggono ad avvenimenti di portata mondiale come l'elezione di Obama. Non si lasciano influenzare dal mondo esterno, rimangono incatenati alla "tradizione", alla miopia, all'egoismo.
Credo però che il mondo lo si possa cambiare a passi più piccoli, un pezzo per volta. La foto pubblicata su Repubblica ne è la prova, quell'immagine mi ha subito fatto riflettere.
Ho osservato gli occhi delle due piccole della famiglia Obama. Due bambine che forse non si stanno ancora rendendo conto di costa sta accadendo al loro papà, alla gente che hanno attorno, al loro paese. Non hanno capito tutto, ma sanno che è una cosa bella. Sguardi smarriti, forse un po' timorosi ma colmi di felicità.
Quel cambiamento a piccoli passi è racchiuso in quegli occhi, ne sono il simbolo. Chissà quante persone afroamericane vi si saranno specchiate, ricordandosi di quando erano bambini, di quando veniva concesso loro poco o nulla. Di quando si guardavano attorno e pur non capendo bene che cosa stesse accadendo, capivano che era una cosa brutta. Avranno ripensato alla loro infanzia, fatta di regole ingiuste, di pregiudizi, di maltrattamenti senza spiegazione.
Ed ora, ecco il cambiamento. Piccolo, fragile, non una rivoluzione. Quel cambiamento gioioso che è racchiuso negli occhi di Sasha e Malia.

venerdì 7 novembre 2008

Dissonanze


Foto di Sebatico
L'elezione di Obama alla Casa Bianca continua a far riflettere e a dar modo di ricollegare ad essa una vasta mole di pensieri più ampi, di "link" che si intersecano, divergono, si ritrovano.
E' decisamente accattivante il teatrino che ha aperto i battenti in Italia già da prima del voto, in cui il nostro raffazzonato centro-destra si spertica in lodi nei confronti del neo-presidente, ne coglie gli aspetti più positivi, cavalca l'onda di questo entusiasmo strano (che loro, come dicevo giorni fa, non riescono a suscitare). Morale della favola: è una manovra abbastanza furba per salire sul carro del vincitore. Perché, sotto sotto, un po' "gli rode". Quindi, meglio giocare alla volpe che non può arrivare all'uva.
Non mi soffermo, poi, sulla battutaccia di Berlusconi ("giovane, bello e abbronzato"): inutile dargli contro, sapendo che è un "gaffeur" di professione. Meglio non esagerare e provare a dimenticare in fretta.
Mi ha stupito, in particolar modo, una voce fuori dal coro. Quella del senatore Gasparri: "l'elezione di Obama farà contenta Al-Qaeda". Mah. Motivo? Forse perché nero? O forse perché si chiama Obama? Obama fa rima con Osama, quindi agli occhi di Gasparri risulta ovvio il legame col terrorismo. E che dire, poi, riguardo il nome per intero del nuovo presidente americano: "Barack Hussein". Dev'esserci di mezzo anche qualche parente di Saddam: nella testa del nostro parlamentare, è suonato più di un campanello d'allarme...
Ampliando il discorso: mi domando come mai, in questo gioco di assonanze, dissonanze e rime baciate, nessuno abbia mai considerato il fatto che fascismo fa rima con comunismo. In questo caso la concezione è diversa: perché se "fascismo" è qualcosa di "passabile", "comunismo" è uguale a "bestemmia, male assoluto, cancro". Specie poi quando c'è di mezzo la violenza: teoricamente dovrebbe essere deprecabile sia in un caso che nell'altro. Macché: i giovani che continuano a prendere pacificamente le difese della scuola e dell'università sono rossi, comunisti, violenti. I fascisti che fanno irruzione negli studi Rai, no: su quelli si minimizza, si mette a tacere. "Ragazzate", nulla più. Anzi: si mette in giro qualche timida parola di supporto.
Penso a cosa sarebbe successo se i centri sociali avessero iniziato ad occupare gli studi di via Teluada o quelli di Cologno Monzese, mettendoli a soqquadro: i vari Bondi, Cicchitto e (come potrebbe mancare?) Gasparri avrebbero fatto una contro-occupazione. Di spazi televisivi, denunciando il fatto come aberrante.
Non c'è scampo: non si possono alterare certi equilibri, non si può dire che il fascismo fa schifo, né che il razzismo è deprecabile, né che in realtà (bisognerà pur metterglielo in testa) la Padania non esiste. No, bisogna tenere insieme tutto e tutti altrimenti il governo non sta in piedi.
Basta! E' ora di voltare pagina! Change!

giovedì 6 novembre 2008

Il suo presidente


Foto di New Hempshire Pubblic Radio
Altra lezione importante che ci proviene dagli Stati Uniti: Obama ha vinto, McCain ha perso. L'uno aveva tutte le mie simpatie, l'altro molte meno. Se il primo mi sembrava (e mi sembra) più credibile, nuovo, carico, l'altro lo consideravo (e continuo a considerarlo) vecchio, fiacco, inadatto a tempi come questi.
Se, dunque, la mia personalissima bilancia pesava tutta a favore di Barack, ho potuto comunque apprezzare nel suo sfidante una dote preziosa e rara in Italia: la lealtà.
McCain ha perso e lo ha fatto in modo rovinoso, ma ha avuto la franchezza e la coerenza di ammetterlo, addossandosi tutte le colpe. Non solo: nel suo primo discorso dopo aver tagliato il traguardo per secondo, si è rivolto ad Obama con parole nette e leali, per l'appunto. Lo ha chiamato "my president", "il mio presidente". Dovrebbe essere un atteggiamento normale, ma visto che di buon senso nel mio paese ce n'è poco, colgo quelle poche parole un significato stranamente pesante: c'è la fiducia anche al di là della sconfitta, apertura e disponibilità anche se su fronti avversi. Una mano tesa dopo una gara scorbutica, ostica, faticosa. Complimenti, davvero.
Da noi la normalità diventa rarissima: ecco perché quando Berlusconi perde le elezioni denuncia brogli, passa settimane a ricontare le schede, non rivolge mezza parola al rivale. Ecco perché quando "un comunista" viene eletto al Quirinale si sente soffocare, impaurito forse dall'arrivo di una nuova Armata Rossa. Ecco perché se qualcosa va male, è sempre stato qualcun'altro a causare il danno.
Come vorrei che questa idea di normalità fosse "normale" anche qui. Più che la democrazia, non era meglio se gli Stati Uniti avessero iniziato ad esportare franchezza e sincerità come quelle di McCain?

mercoledì 5 novembre 2008

Barack e i burattini...


Foto di Neal1960
Sì, forse questa volta potremo dire di aver cambiato pagina. Barack Obama: è lui il nuovo Mr. President. Uno che guarda al futuro, lo osserva con speranza, ricoprendolo di possibilità e non di paure. Non l'antidoto a tutti i mali, certo. Però la sua elezione ha scatenato un'ondata di gioia incontenibile, che ha superato gli oceani, che è stata vissuta da come un evento che riguardava tutti. Nessuno escluso.
Ecco, proprio su questo mi vorrei soffermare. Non tanto sull'importanza dell'evento in quanto tale. Mi ha impressionato, come dicevo, il carico di emozioni che ha accompagnato l'attesa dei primi risultati. Elettrizzante e commovente l'esplosione di felicità (ma non era felicità, era qualcosa di più, qualcosa che non riesco a dire), quel boato che ha percorso tutto il mondo quando si era iniziato a capire che ce l'aveva fatta.
Sono cose che noi, in questo lacerato paese, non abbiamo mai visto. Non in tempi moderni, né l'altroieri né mai. Sì, perché qui da noi ha vinto per tre volte uno che ha raccolto voti (e a milioni, per di più) fra i disinteressati, i miopi, gli impauriti. Fra i politicamente periferici: gente che non crede in un progetto più ampio. Si mobilita in vista delle elezioni e poi addio.
Ecco perché da noi non ci sono state feste, cortei, canti di giubilo, caroselli quando ha vinto: perché, pur essendo soddisfatti, la cosa non ha toccato gli elettori più di tanto.
In America, invece, la mobilitazione è stata grande, grandissima. C'è stata felicità perché aveva vinto un progetto, un sogno, uno sguardo rivolto al domani. E chi ha votato ci ha creduto davvero.
Avete presente quando abbiamo vinto i mondiali? Ecco: la stessa cosa è accaduto questa notte, ma molto più in grande, nella lunga notte americana. Dove al mattino, dicevo all'inizio, ci si è svegliati con la consapevolezza di aver voltato pagina. Arriverà mai anche da noi un mattino così bello?