sabato 26 aprile 2008

Politica, antipolitica e anti-antipolitica


Foto di Alessandro Boselli
Da tempo volevo scrivere due parole su Beppe Grillo e tutto ciò che ruota attorno a questa "costellazione". Il problema è che fra queste orbite (in cui si mescolano società civile, politica, antipolitica, istituzioni, proposte, proteste e chi più ne ha più ne metta) fatico sempre più a capirci qualcosa. Ci sono punti che accolgo in pieno ed altri che mi sfuggono. Cogliendo l'occasione del V2-Day di ieri, cerco di ricostruire un mio personalissimo quadro sulla situazione. Non so bene quanto mi ci vorrà e se giungerò a capo di qualcosa. Ci provo, comunque.
Parto dai dubbi. Il male contro cui si batte Grillo è il seguente: viviamo in una democrazia che sempre più spesso fa rima con lassismo, con disinteresse, col tirare a campare. Quando va bene. Quando va male, c'è qualcuno che se ne approfitta e fa quel che vuole, con il massimo profitto per sé stesso ed il massimo danno per la società.
Opporsi a questo status quo è sacrosanto, ci mancherebbe. Però bisogna capire dove si vuole arrivare. Perché è sempre di democrazia che si sta parlando. Giocarci troppo sopra può essere pericoloso. In altre parole: esiste un quadro normativo che, pur con troppi lati oscuri, dà spazio a tutti. Volerlo cambiare, come auspica Grillo, è giusto. Però se lo si sostituisce con le istanze, le idee, le direttive di uno solo si torna al punto di partenza.
Per dirla con Michel Foucault: difficilmente il potere può essere veramente cambiato, sovvertito. Ci possono essere delle sostituzioni, al limite. Che inquadreranno un nuovo regime normativo, morale, etico con le sue leggi e le sue norme.
In molti hanno visto in Grillo il germe di un nuovo tipo di fascismo, che prolifera sulle radici ben salde dell'antipolitica. Su questo non sono d'accordo: difficile vedere nel comico genovese un nuovo Mussolini, ci mancherebbe. Però il rischio è che questo analizzare il problema, proponendo una soluzione unitaria che spazzi via tutto il resto, può portare ad una ridifinizione di tutta la struttura, politica e sociale. In nome di ideali che hanno una sola fonte. Questo mi convince poco.
Inutile negarlo: certe istanze aggregate e portate avanti da Grillo sono più che condivisibili, estremamente razionali. Forse spaventano un po' perché urlate, o forse perché sfuggono al canale principale in cui confluiscono le idee per il bene comune: la politica. Che dovrebbe governare ed invece, troppo spesso, genera solo immobilismo. Forse sono due strade che dovrebbero incontrarsi. Perché possano lavorare meglio entrambe.
Non mi piace troppo, Grillo, neppure quando, nel tentativo di proporre antidoti nuovi contro i mali sopra citati, mette in un unico calderone tutti i politici, tutti i partiti, tutti i giornali, tutti i canali di informazione e partecipazione. Occorrerebbe distinguere, capendo che c'è del buono da salvaguardare e del marcio da eliminare. Ma quando si porta avanti una battaglia come la sua, è inevitabile, non si va tanto per il sottile.
Capisco anch'io che abbiamo strumenti politici insufficienti, cervellotici, incostituzionali talvolta. Però in certi casi bisogna utilizzarli comunque, cercando lo stesso il migliore fra quelli disponibili. "Pubblicizzare" l'astensionismo può essere comprensibile. Peccato però che così facendo si perde un occasione. E quando le cose non vanno si crea il terreno adatto per l'azione politica di Sua Emittenza, che di questi espedienti si ciba.
Queste e tante altre cose non mi convincono. Ma altre vanno sottolineate, visto che ci sono anche dei "pro": non mi convince quando non si riesce a vedere più in là del proprio orto, finendo per bollare Grillo e ciò che gli gira attorno come "antipolitica". Quasi a voler marcare una differenza fra un bene e un male che, fondamentalmente, non esiste. Fermo restando il rispetto per gli altri, ognuno è libero di portare avanti come meglio crede le proprie idee. Inutile, perciò, parlare di antipolitica e definire con appellativi poco carini tutte le persone che partecipano attivamente alle battaglie proposte da Grillo.
Mi piace anche il modo in cui vengono unite le persone, sfruttando canali nuovi (internet) e modalità di comunicazione mai praticate prima (molte parolacce, pazienza, ma soprattutto qualche risata, il che non fa mai male).
Il tema è complesso, ampio. Forse è inutile cercare di andare così a fondo, però certi dubbi rimangono. Probabilmente perché si tratta di una novità, un elemento che rompe col passato e col quale ancora non sono in grado di fare i conti. Ho fatto un primo passo in questo senso, ma occorrerà tornare su questo sentiero.

venerdì 25 aprile 2008

Uso pubblico della libertà


Foto di BARUDA
Non di rado si sente parlare di uso pubblico della storia. Formula utilizzata da sociologi, politologi ma soprattutto storici per indicare quel processo in cui la storia viene sradicata dal suo contesto naturale, presa e spesso manipolata al fine di sostenere tesi, consolidare istituzioni e via dicendo.
Processo non infrequente specie se ci si trova a commentare il senso di una giornata come quella di oggi: 25 aprile 1945, Milano e Torino sono libere dal nazifascismo, l'Italia inizia a progettare il suo futuro. Una data che è storia, simbolo, fondamento del nostro stare insieme. Ogni storpiatura, ogni tentativo di appiccicarle addosso significati differenti è destinato a fallire: il contesto era diverso, ogni parallelismo col presente diventa impossibile.
Anche se non c'è nulla di sacro nella storia di una nazione democratica come (almeno così si dice) dovrebbe essere la nostra, distorcere il significato di questa festa ha comunque un che di sacrilego: per alcuni, riconoscere che il nostro paese ha un certo passato, che si basa su certi valori, che vive grazie al sacrificio di altri potrebbe essere un boccone assai indigesto. Eppure la storia ha deciso questo. Un atto di schifosa viltà farne un discorso di parte, oggi.
Già, perché la nostra classe dirigente si riempe la bocca con sproloqui sulla libertà. Poco dopo chiede che i libri di storia vengano revisionati per togliere l'enfasi di cui sono rivestite le pagine sulla resistenza.
Questi dovrebbero prima sapere che cosa sia, questa libertà. Come la si conquista, quando inizia a mancare. Che tipo di libertà vogliono: in quali ambiti, da chi, da cosa, per chi, con quali mezzi, con quali scopi?
"Libertà" è una parola potente. Troppo, forse. Sicuramente difficile da definire, tale è l'immensità del suo significato. Ho imparato a diffidare da chi la usa troppo spesso, soffiandola sugli altri come fumo negli occhi. Posso solo immaginare che vita infernale sarebbe, se ci venisse tolta sul serio. Non si preoccupino, questi signori: di libertà ne godono sin troppa.
Buon 25 aprile a tutti. Di cuore.

mercoledì 23 aprile 2008

Nubi sul Quirinale


Foto di Luigi Rosa
Sicuramente in questi giorni all'interno del dibattito politico si sta parlando di tutt'altre questioni. Io invece sono inciampato quasi per caso su un dettaglio che forse è bene ampliare, perché anche altri se ne accorgano.
Nel fare l'analisi delle elezioni della settimana scorsa e dei prossimi cinque anni di questo governo, in più di un'occasione ho letto cose del tipo "quello del 2008 è un Berlusconi più stanco, incapace di vendere miracoli come un tempo" oppure "ha già sistemato quel che doveva sistemare" o ancora "è evidente che si sta preparando ad entrare nella storia del Paese come Presidente della Repubblica".
Un'impressione che in tanti hanno. Concreta. Neppure poi tanto campata in aria. Eppure, a mio avviso, meritevole di essere guardata un po' più da vicino. Credo che un'ipotesi politica come questa non debba esser bisbigliata a bassa voce né esser presa per buona a priori.
Il Cavaliere ha gestito per anni il dibattito politico, ne ha scandito i tempi, ha imposto modi di pensare e parlare tutti suoi. In molti, indipendentemente dal colore politico, si sono come assuefatti a tali dinamiche. Ecco perché un'idea come quella di raggiungere l'Olimpo del Quirinale appare "normale", scontata, fattibile.
Lo dicevo qualche post fa: non mi voglio abituare a questi modi di fare, a questa politica raffazzonata dove tutto sembra possibile. Dove tutto diventa possibile.
Non per cattiveria nei suoi confronti. Non perché qualcosa o qualcuno glielo possa impedire. Non per semplicistiche contrapposizioni di parte. Berlusconi non può diventare il Presidente della Repubblica, a mio avviso, per una mera questione di buon senso. Dono prezioso, in questo paese, ma qualche rimasuglio qua e là ce n'è.
Il Cavaliere è uomo di parte. Troppo inserito in uno scontro politico, etico, sociale e mediatico dal quale è difficile staccarlo. Una figura che è difficile immaginare come garante dell'unità nazionale. Eccessivamente pieno di vanagloria e per questo inadatto a ricoprire certi ruoli.
Saremmo alla dittatura. Una dolce, carezzevole, televisiva dittatura. Si aprirebbero scenari poco edificanti, da quarto, quinto mondo.
Di tempo per verificare se questa idea si tradurrà in realtà ce n'è a iosa. Ed è solo col tempo che potremo verificare se l'assuefazione ad essa avrà piegato tutto e tutti o se c'è, se ci sarà qualcuno ancora capace di opporvisi.
Spero di sì. Altrimenti sul Quirinale vedo nubi minacciose.

martedì 22 aprile 2008

I non luoghi


Foto di HamWithCam
Spesso mi imbatto in inutili tentativi di separare il presente dal passato, ciò che esiste oggi da quel che ieri non c'era, ciò che fornisce porzioni di senso alla nostra società da quel che in passato di senso non ne aveva affatto. Questa zona liminare è difficile da esplorare, ma alcuni elementi aiutano ad orientarsi. Fra questi ci sono i cosiddetti "non luoghi".
Tempo fa lessi a riguardo un articolo. Il tema mi interessò molto ma la lettura fu molto frettolosa. Quel particolare termine, "non luogo", mi rimase però impresso. Quasi subito ne intuii il senso, almeno in maniera grossolana; poi ho sentito il bisogno di entrarvi dentro un po' meglio.
La nostra società (quella occidentale, quella teoricamente evoluta e che vuol proiettarsi nel terzo millennio) è piena di non luoghi. Si tratta di zone di transito, artificiali, spesso legate al commercio. Piccoli pezzi di mondo in cui i tratti della modernità e della globalizzazione emergono in maniera prorompente. Zone franche, in cui tutti passano ma nessuno vi abita.
Basta prendere la foto sopra: potrebbe essere scattata in qualsiasi posto del mondo. Quell'ambiente potrebbe essere ripetuto uguale a se stesso per infinite volte. Ancona, Milano, Stoccolma, Atlanta. Chissà. Un muro giallo e blu. Il giallo e il blu dell'Ikea. Una multinazionale sparsa in tutto il mondo.
Ci vedo, in quello scatto, un senso di confusione e straniamento. Sensazioni che mi intimoriscono e mi affascinano a tempo stesso. Un ambiente in cui le particolarità e le peculiarità vengono annullate. Sei a casa tua, nella tua città. Eppure a tempo stesso, potenzialmente, in ogni luogo. Straniero a casa propria. Cittadino di tutto il mondo.
I centri commerciali, gli aeroporti, i parchi divertimento, il palco di San Remo, le grandi fiere. Non luoghi in cui la modernità ha posto una cesura netta col passato. Bruttissimi perché isolati da un contesto che brulica vitalità da anni, secoli. Interessanti perché occorrerebbe capire come l'essere umano reagisce, una volta che vi transita.

P.S.: su questo tema due interessanti letture che spero di fare nei prossimi mesi possono essere "Nonluoghi - Introduzione a una antropologia della surmodernità" edito da Eleuthera e "Disneyland ed altri nonluoghi" edito da Bollati Boringhieri, opere entrambe scritte dall'antropologo Marc Augé.

sabato 19 aprile 2008

Fissare un'idea


Foto di gabssnake
Solite questioni irrisolte riguardo il tema della comunicazione. Domande che mi ero posto già diversi post fa: comunicare, comunicare verso le masse, è sempre un bene o può generare immobilismo?
Non c'è dubbio: il comunicare, l'informare ed essere informati, la conoscenza sono beni preziosissimi. Guai se non ci fossero. Il problema è che non ho ancora capito come considerare, se ve n'è uno, l'altro lato di questa medaglia.
Scendo in esempi concreti: la possibilità di ricevere (da tv, radio, giornali, internet...) e creare (tramite blog, forum, YouTube, Flickr eccetera) informazione si traduce in un'opportunità nuova, che in epoche e realtà diverse dalla nostra non è pensabile. Quella di poter fissare le idee, i concetti, le notizie. Prima si aveva percezione di un mondo ristretto, fatto solo da ciò che è visibile e udibile nel proprio contesto. Ora il mondo è diventato di colpo più ampio ed a tempo stesso le distanze si sono accorciate: questo perché tutti sono in contatto con tutti. Le idee si fissano, ognuno può far sentire la propria voce.
Ma è proprio qui che sorgono i dubbi: questa possibilità potenzialmente sconfinata di comunicare può cambiare l'essere umano? Quanti e quali avvenimenti non si sono realizzati, nel passato, solo perché le idee rimanevano volatili? Quanti quelli che, al giorno d'oggi, si realizzano solo perché c'è la comunicazione di massa?
Esempio uno: l'unificazione d'Italia. La premessa, la base su cui si fonda (non senza fatica) lo stare insieme del nostro paese. Qualcosa di indubbiamente positivo. Ma pensiamo a quante realtà diverse e disomogenee si sono dovute piegare alla volontà di creare un paese unitario. Che so: cosa sarebbe accaduto se i Borboni si fossero opposti a Garibaldi facendo sentire la propria voce con un messaggio a reti unificate? Quante persone gli si sarebbero strette attorno in segno di solidarietà? Sarebbe stata possibile l'impresa dei mille?
Esempio due, un po' più recente: Papa Giovanni Paolo II. La sua figura è così importante anche perché è stato il primo Pontefice a vivere in "real-time". I mezzi di comunicazione ne hanno fissato la sua straordinaria figura, i suoi modi di fare, il suo parlare al mondo. Una possibilità che, andando a ritroso nel tempo, decine e decine di suoi predecessori non hanno avuto. Ovvio allora che molti lo vedano vittorioso in un ipotetico confronto con Benedetto XVI: più vicino, più capace di comunicare, più "simpatico". Giudizi come questi sono oggettivi o viziati da ciò che vediamo in tv?
Insomma: se l'opportunità di fissare un'idea è sicuramente una preziosa risorsa, quanto e in che modo essa può cambiare il nostro modo di pensare? Quanto può cambiare il concetto stesso di essere umano?

mercoledì 16 aprile 2008

Grazie


Foto di PDnetwork
L'ho più volte detto a me stesso e su questo blog: uno stesso evento può scatenare reazioni differenti. Il bello sta nel saperle esplorare e lasciarle sempre aperte. Questo spazio l'ho voluto proprio per poter far tutto questo.
Ed è proprio con questa volontà che torno ad affrontare il tema delle elezioni. Lasciando da parte la delusione per un risultato che non avrei voluto e andando a ripescare ciò che di buono ho visto e sentito in questi mesi di campagna elettorale.

A discapito di tutti quelli che parlano di cannibalizzazione del voto, di un PD che ha riesumato e portato alla vittoria Berlusconi, di una sinistra radicale scomparsa per mano di Veltroni dico innanzi tutto che al voto ci si arriva con determinati strumenti, certe persone, certi partiti. Sta all'elettore, agli elettori scegliere come usarli e quali usare. Non ci sono né colpe né meriti sotto questo profilo.
Peccato. Veltroni poteva essere un ottimo Presidente del Consiglio. Anche se è andata male, vorrei rivolgergli un mio personalissimo ringraziamento.
Come ho già detto in passato, la mia attenzione e le mie speranze erano riposte su Walter perché ha saputo riportare in campagna elettorale temi scomparsi da troppo tempo: ha parlato di legalità, di morale, di bene comune, di felicità, di serenità, di viaggio, di rischi, di opportunità. Ha volutamente messo al centro la volontà di non adeguarsi a certe parole, a certi modi di fare, al malcostume sociale ed etico, ancor prima che politico.
La sua è stata una campagna elettorale intensa, ricca, interessante. Una sfida così grande nessuno l'aveva mai accettata. Mai si era visto un giro d'Italia così bello in soli due mesi. Per me è stato un vero piacere seguirlo, specie quando ha fatto tappa nella mia città.
Il ritorno nelle strade, nelle piazze, tra la gente della politica, quella vera. Non strombazzata in televisione. Ogni città un bagno di folla, ogni piazza un discorso serio, ampio, vivo. Splendidi, davvero splendidi quelli a Napoli, Bologna, Milano e soprattutto Roma.
Certo, se dico certe cose è perché mi sono lasciato trascinare da quelle parole, l'onda dell'emotività è difficile da arginare. So anche che, di questi tempi, fidarsi troppo di un politico può essere rischioso. Beh, credo che come contraltare alle parole, volatili per loro stessa definizione, ci fosse una base solida fatta di progetti, programmi chiari, coerenza, voglia di cambiare pagina.
Peccato che tutto questo non si sia tradotto in voti. Pazienza. Ora però non c'è tempo per avvilirsi o leccare le ferite. Subito al lavoro, perché un Italia moderna, anche se non oggi, si può fare!

martedì 15 aprile 2008

Ancora?


Foto di Enrico Maioli
Gli ultimi giorni di campagna elettorale li ho vissuti intensamente, tra gioia e tante speranze. Un po' per appuntare le mie impressioni ed un po' per andare incontro ai cosiddetti "indecisi", avevo deciso di buttar giù qualche riga: un breve riassunto della situazione sociale e politica del nostro paese, un modo per capire da dove arriviamo e dove saremmo potuti andare dopo le elezioni.
Poi, però, ho aspettato, ho lasciato che le cose andassero con la corrente ed alla fine non ho fatto leggere a nessuno ciò che avevo scritto. Lo faccio ora. L'idea, inizialmente, era quella di descrivere quanto profondo sarebbe potuto essere il pozzo in cui ci saremmo cacciati se avesse vinto la destra. Ora, drammaticamente, è diventato il racconto di un film già visto e che saremo costretti a rivedere. Perché la destra, questa destra, di nuovo con Silvio Berlusconi tornerà a governare l'Italia.
Il mio voto è andato con grande fiducia al PD e a Walter Veltroni. E' stato un voto "per" qualcuno, innanzi tutto. Ma se è vero che i "per" sono molto più difficili da condividere, il mio tentativo era, per lo meno, di far capire agli altri tutti i "contro" che mi stavano a cuore e che si concentravano in quel segno sulla scheda.
Ecco, allora, i miei "contro", dinnanzi ai quali bisogna essere ancora capaci di indignarsi, fatti e fatterelli cui non ci si deve, non ci si può abituare.
Sono contro chi definisce eroe un mafioso, pluriomicida e condannato per mafia. Ma dico, questo signore si rende conto di cosa dice? Sono contro chi dice queste cose per accaparrarsi voti macchiati dalla mafia. Sono contro chi definisce l'antimafia un "marchio" dietro il quale molti si nascondono.
Sono contro chi calpesta le massime autorità dello Stato, arrivando a chiedere le dimissioni del Presidente della Repubblica. Sono contro chi da del coglione a chi non la pensa come lui. Sono contro a chi ha nelle proprie liste delle persone con problemi con la legge (lui in primis). Sono contro a chi ha nella propria coalizione secessionisti, nordisti, sudisti, ex-post-neo-fascisti. Basta! Certi capitoli si devono chiudere! Sono contro chi definisce "una battuta" il voler "imbracciare i fucili".
Sono contro chi gioca a Monopoli con l'Alitalia, per ottenere un pugno di voti in più. Sono contro chi vuol governare il paese senza riconoscere l'importanza del 25 aprile, delle forze anche comuniste (sì, che male c'è?) che hanno rimesso in piedi questo paese, della Costituzione, del tricolore, dell'inno. Sono contro chi non è disposto ad assicurare lealtà alla Repubblica. Sono contro chi è contro Totti (e anche chi è contro Zoff).
Sono contro chi dice che "se lo Stato chiede troppo, allora è giusto cercare altre vie". Sono contro chi parla di famiglia, poi di famiglie ne ha due e nel tempo libero si trastulla con quelle del Grande Fratello. Sono contro chi dice che i magistrati sono tutti rossi, che agiscono solo su base politica, che dovrebbero fare periodicamente il test di sanità mentale. Ma che idea di legalità offre alla gente? Perché si può permettere di calpestarla bellamente? Che caspita di guida sei se parli così? Di chi ci si deve fidare se getti fango in questo modo?
Sono contro chi da del "kapò" a un socialista, con Fini (Fini!) che in quel momento avrebbe voluto sprofondare o essere da un'altra parte. Sono contro chi non ragiona, non sente, non s'informa, non costruisce insieme, magari ci volessero anni, ma preferisce montare e rismontare un partito dall'alto di un predellino. Sono contro chi riduce idee al comunismo ad una macchietta, fa di tutto per distruggerlo, e poi lo usa continuamente come leva per suscitare un po' di paura. Ma allora che cavolo hai parlato a fare per tutti questi anni? Hai combattuto contro i mulini a vento.
Sono contro chi parla di libertà, a chi prima ci costruisce attorno una "casa" e poi lo allarga ad un "popolo" anche se non s'è mai capito "libertà da cosa". Sono contro a chi fa politica con 3 televisioni+digitale terreste+giornali+case editrici (+aziende+banche+varie ed eventuali) che gli coprono le spalle. Sono contro chi straccia i programmi degli altri. Sono contro chi denuncia brogli solo quando perde. Sono contro chi cambia le regole del gioco solo per rendere la partita più confusionaria, così almeno, se proprio non ha avuto ragione lui, non l'avranno nemmeno gli altri.
Sono contro a chi non ha senso dello Stato, chi pensa di poter calpestare tutto e tutti riducendo ogni cosa ad uno scontro fra due parti, chi non si propone di guidare il paese con serietà: guidare, non solo governare. Distribuendo, quindi, non solo leggi ma riportando un po' di etica, di morale, di legalità.
Io spero sempre nella buona fede e nelle capacità positive che sono dentro ogni uomo e ogni donna. Mi auguro, per questo, che dentro il Sig. Berlusconi ci sia anche dell'altro, qualcosa di più positivo. Ci credo poco, ma ci spero.
Ad ogni modo, per sommi capi è in questo mare in tempesta che l'Italia, ancora, per la terza volta, si è gettata. Speriamo di uscirne sani e salvi.

giovedì 10 aprile 2008

Chi è la vittima e chi il carnefice


Foto di contatto diretto
L'idea originaria di questo blog era quella di poter considerare alcuni temi con un certo distacco. Un'idea ancora valida, per carità. Però mi rendo sempre più conto di come l'attualità, se conosciuta almeno un poco, travolga tutto e tutti. Ti impone di riflettere.
L'attualità cui faccio riferimento è ovviamente quella di stampo politico. Lo ripeto, avrei voluto pensare e parlare d'altro. Ma proprio non ce la faccio a rimanere zitto di fronte a certe bestialità.
Ho ripensato a quanto successo ieri. A ciò che hanno affermato Dell'Utri prima e Berlusconi poi. Mangano è un eroe. Vittorio Mangano. Un eroe. E' uno scherzo, vero? No, purtroppo no: questi signori non scherzano. Fanno sul serio. E a me viene quasi da piangere.
Vittorio Mangano è un criminale. Punto. Pluriomicida, mafioso e condannato a suo tempo all'ergastolo. Ci sarebbe molto altro: per un suo curriculum vitae più dettagliato, basta fare clic qui.
Vittorio Mangano non è un eroe. Non si diventa eroi solo perché non si getta fango sui Dell'Utri e sui Berlusconi. Eroe è chi serve lo Stato, chi ha combattuto la mafia, chi ha dichiarato guerra a quella morale distorta. Chi è morto per tutto questo. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, tutti i morti ammazzati per mano della mafia sono eroi.
Ecco chi si vuol candidare alla Presidenza del Consiglio: uno che confonde vittime e carnefici, gli eroi con le bestie, il bene comune coi propri interessi. Doloroso scrivere queste righe, perché mi sembra di vivere in un fatato regno dell'assurdo, dove tutto è ammesso, tutto è possibile, tutto si può mistificare.
Con dichiarazioni di questo tipo, se solo fossero nati in un altro paese, il signori Dell'Utri e Berlusconi sarebbero stati presi per le orecchie e cacciati fuori dalla vita politica a calci nel culo.
Da noi, invece, bestialità di questo tipo servono solo ad ottenere i voti dei mafiosi.
Ma che schifo. Vergogna!

mercoledì 9 aprile 2008

Piccole differenze


Foto di PDnetwork
Tanti ragionamenti e idee si sono accavallati in questi giorni fra i miei pensieri. Gran parte di questi in merito alla campagna elettorale ormai agli sgoccioli ed altri di varia natura. Difficile scegliere. Mi ero riproposto di accantonare, almeno per un poco, la politica. Almeno di questo ero certo.
E invece ho deciso di tornare a parlarne perché in questi ultimi giorni ne sono successe di cotte e di crude. Gli attacchi un po' sbracati e ricchi di gaffes da sono giunti copiosi come non mai. Da destra, ovviamente. Tentando di ragionarci su, cercavo le parole per descriverli, per stigmatizzarli, per osservarli a fondo anche in previsione futura: con queste premesse, come può tornare al governo questa coalizione così cialtrona, facilona, raffazzonata? Come descrivere le non poche differenze che intercorrono fra una parte e l'altra? Come metterle in evidenza?
Su Repubblica oggi è uscito un articolo molto interessante, serio, preciso. Me ne servirò per tentare di rispondere a queste domande. Da solo difficilmente ci sarei riuscito. Lo ha scritto Sebastiano Messina, s'intitola 'La pancia della destra':
Non è niente male, "Veltrusconi", come slogan propagandistico. Rende benissimo l'idea di due che fingono di litigare ma, sotto sotto, sono d'accordo. Anzi, "già fanno le stesse cose", ci spiega il serafico Boselli. "Come i ladri di Pisa" sussurra giudizioso Casini. Eppure "Veltrusconi" è la più gigantesca bufala di questa arruffata caccia al voto. Per capirlo, basta fermarsi un momento ad ascoltare quello che succede in un giorno di campagna elettorale. Prendiamo ieri.
L'ultimo martedì prima del voto si è aperto con un amletico dubbio sul futuro politico di Umberto Bossi: sarà di nuovo ministro, se vince il centro-destra? Tornerà davvero al governo, giurando fedeltà a una Repubblica che disprezza, uno che ancora lancia minacce "ai romani" con la burbanza di Brenno ed è capace di dire che se non si fa subito come dice lui "potremmo imbracciare i fucili"? Un imbarazzato Berlusconi svicolava, spiegando che Umberto, lo sanno tutti, non sta poi benissimo, e poi in fondo non gli ha chiesto nessuna poltrona, ma ci voleva il leghista Borghezio a mettere le cose in chiaro: se Bossi non fa il ministro, avvertiva "allora tanto vale riprendere la lotta dura e pura", ovvero "la secessione, l'unica via rapida e giusta per ottenere la libertà".
E mentre noi ci domandavamo se fosse quella evocata da Borghezio la "libertà" che Berlusconi ha voluto nelle sue insegne, ecco che si apriva un nuovo e non meno sconcertante fronte. Il senatore Marcello Dell'Utri, che è la vera eminenza grigia della corte berlusconiana, pensa che sia arrivato il momento di aprire un discorso sulla Resistenza. Che lui scrive rigorosamente senza la maiuscola, perchè la trova enfatica e pomposa. "Se dovessimo vincere le elezioni - ha promesso l'uomo che costruì Forza Italia in un mese - saranno revisionati i libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della resistenza". Magari potrebbero pensarci il senatore Ciarrapico e l'onorevole Mussolini, chissà.
Già che c'era, il senatore [...] ha pensato bene di togliere un po' di retorica anche all'antimafia, paragonandola a una "sorta di brand", un marchio pubblicitario. E rivalutando il suo vecchio amico Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore che venne sì condannato in primo grado all'ergastolo per mafia, però non volle mai accusare lui e Berlusconi, e dunque "è un eroe". [...]
Poteva bastare. Ma Berlusconi, da Savona, ha voluto metterci il carico da undici. Contro quelli che lui considera il pericolo pubblico numero uno: i magistrati. "Il pubblico accusatore deve essere sottoposto periodicamente a esami che ne attestino la sanità mentale". [...]
Dalla sponda opposta [...] non sono arrivate parole di fuoco. Sono partite, semplicemente, una telefonata e una lettera. Una telefonata di solidarietà al pm di Catanzaro Pier Paolo Bruni [...]. E una lettera per il suo avversario.
Veltroni invitava Berlusconi a dare "formalmente e in modo vincolante" una "garanzia di lealtà repubblicana" per tutta la sua coalizione: difesa dell'unità nazionale, rifiuto di ogni forma di violenza, fedeltà ai valori della Costituzione, rispetto per il tricolore e l'inno di Mameli. [...]
Quello che alla stragrande maggioranza degli italiani sarebbe sembrato un impegno scontato è stato immediatamente evitato da Berlusconi come se fosse una trappola comunista. Invito "irricevibile". E perché? Perché Veltroni - ha spiegato il leader del Pdl rigirando la frittata - "non ha alcun titolo per dare patenti di lealtà repubblicana".
E i fucili minacciati da Bossi? E la secessione promessa da Borghezio? E l'antifascismo che Dell'Utri vuole ridimensionare, riscrivendo la storia come se fosse una fiction di Canale 5? Ma via, Veltroni non stia a spaccare il capello. Gli italiani conoscono Berlusconi, hanno già capito che, se lui vince, stavolta si fa a modo suo. Altro che "Veltrusconi".
Un bell'articolo, forse troppo lungo per i canoni di un blog ma da leggere per intero. Per capire. Per descrivere le premesse di questa tornata elettorale. Un domani, nel bene e nel male, ne vedremo le conseguenze.

mercoledì 2 aprile 2008

Memoria corta


Foto di corriere.it
Io non sono "del settore", ma mi pare di capire che in politica, ed in particolar modo in campagna elettorale, conta solo il "qui e adesso". Programmi, discorsi, proclami, dichiarazioni: il tutto viene preso, triturato nel frullatore mediatico e servito al cittadino-telespettatore-elettore. Per tutto ciò che è stato, non c'è tempo. Non importa più. Le conferenze stampa si rincorrono, le parole diventano quantomai volatili, un lancio d'agenzia "invecchia" nel giro di cinque minuti. Figuriamoci se c'è spazio per ricordare il percorso che ci ha portati sin qui.
Questa memoria corta è patologica e non credo che ci faccia bene. Anzi, ci fa malissimo. Soprattutto perché è un ottimo modo per solleticare l'interesse degli indecisi e dei "politicamente periferici", che sono tanti, troppi. Si rischia di ridurre la politica ad un puro esercizio linguistico, di affabulazione, di vendita all'ingrosso di aria fritta. Dolce, carezzevole magari. Ma sempre aria fritta.
In questo campo, Silvio Berlusconi è un vero e proprio fenomeno. E sottolineo, Silvio Berlusconi: solo lui (altri così non ne conosco). Non l'intero centro-destra. Schieramento che personalmente vedo come avversario, ma anche come interlocutore col quale dialogare apertamente per tentare di cambiare il paese. Credo che si rivelerà tale solo nel giorno in cui Berlusconi deciderà di chiudere il sipario sulla sua esperienza politica. Poi, si vedrà. E credo che le cose potranno andare meglio.
Trovo che il Cavaliere sia un cialtrone, un fine, intelligente, astuto cialtrone che sa acquistare stima, fama e credito personale con monete assai rare: l'emotività, il populismo, la faciloneria, il timore per nemici che solo lui vede e via dicendo.
Su questo mercato, è chiaro che ricordare tanti fatti e fatterelli del passato può esser scomodo. Poco efficace. Si guarda indietro solo per aizzare le folle contro Prodi. Anche se non si capisce il perché: dopo avergli fatto la guerra sin dalla chiusura delle urne, anziché essere contento per la caduta del Professore, continua ad evocarlo come il peggiore degli spauracchi. Mah. Comunque: se lui non ha voglia di dare una sfogliata all'album dei ricordi, cerco di farlo io. Il repertorio è vasto: dal discorso a reti unificate al contratto firmato a "Porta a Porta", dalle figuracce europee agli ultimi attacchi al Presidente della Repubblica. Dai partiti sciolti e ricreati dall'alto del predellino di un'automobile allo stracciare programmi altrui. Dalla rottura con Fini, Bossi e Casini alla ricostituzione del Popolo delle libertà, fra baci, abbracci, pacche sulle spalle e volemosebbene. Molta emotività, molto populismo, molta faciloneria. Purtroppo. Molte contraddizioni, inoltre: cliccando sui link sarà facile riconoscerle. Di fatti concreti, ahimè, nemmeno l'ombra.
Memoria corta. Meglio dare una rinfrescata. Perché le elezioni si avvicinano.