venerdì 21 novembre 2008

Se governa l'incoerenza


Foto di eddypedro
Giorni fa mi sono imbattuto in questo video. Un documento a suo modo rilevante. Perché mi ha fatto dimenticare per un attimo la stringete attualità (che pure meriterebbe più di un approfondimento), dandomi modo di osservare meglio il percorso di questi ultimi mesi e di capire dove siamo oggi, in che Italia viviamo.
Protagonista del video è un consigliere comunale della mia città, che giusto un anno fa, di questi tempi, si batteva per una causa nobile, volta a risvegliare il senso civico e l'interesse per la cosa pubblica. Un azione di una certa rilevanza sul piano umano, culturale e politico. Non c'è che dire.
Sotto lo slogan "Al voto subito", Forza Italia raccoglieva delle firme per mandare a casa il Governo Prodi.
Stop. Pausa. Vorrei che, in un interminabile attimo di riflessione, un brivido carico di sdegno corresse lungo la schiena di chi legge: ma dove siamo? E da quando in qua basta una raccolta di firme per far cadere un governo? Come si fa a far credere una cosa simile alla gente? Quanta ignoranza, presunzione, populismo ci sono in una mossa del genere? Ma la Costituzione non diceva per caso che una legislatura deve durare cinque anni?
Per "Al voto subito" sono state raccolte sette milioni di firme (o settanta milioni, o settecento milioni: le cifre non sono mai state chiare). L'occasione, come dimenticarlo, ringalluzì Berlusconi: forte del consenso popolare, dopo lunghi e travagliati dibattiti in seno al partito, studi, congressi e tavole rotonde, in cinque minuti (e dall'altro di un predellino) decise di sciogliere Forza Italia e di creare un partito nuovo.
Come nel più classico degli "effetti a valanga", ecco quali furono le parole di Fini, che evidentemente non stava al gioco. In diversi articoli del 21 novembre 2007, il Presidente di AN annunciava con parole avvelenate: "Il PdL è solo un colpo di teatro", "Berlusconi non è eterno", "la favola è finita, con me ha chiuso". E altre cose di questo tipo. Questo video ne è la testimonianza.
I bei tempi di piazza San Giovanni, del palco con su scritto "Contro il regime - Per la libertà" (quale regime? Libertà da cosa? Qualcuno lo ha mai spiegato?), dell'allegra mescolanza fra cattolici e ex-post-neo fascisti ("Duce! Duce!" ricordate?) erano finiti.
Poi però la storia recente ha preso un'altra strada, quella dell'incoerenza. Ed allora si è arrivati a tutt'altri orizzonti. Faccio un breve riassunto giusto per capire a quali bassezze ci siamo dovuti abituare.
Riannodando i fili che portano all'oggi scopriamo che la favola Fini-Berlusconi non è finita. Tutt'altro. Non solo il primo ha ceduto docilmente al secondo, ma ha dovuto cancellare dalle schede elettorali il simbolo del suo partito. Salito sul carro del vincitore, è stato pure ricompensato con la prestigiosa poltrona di Presidente della Camera. Figura che, in teoria, dovrebbe essere ricoperta da un uomo integerrimo e tutto d'un pezzo, visto che si tratta della terza carica dello Stato. E invece... eh, che volete farci: siamo in Italia, è andata così.
Non solo: se prima la protesta era legittima, meritevole di essere portata avanti con ogni mezzo (anche la menzogna più spudorata), ora sul Governo e sul Presidente del Consiglio non è concesso dire mezza parola. Già, perché l'ex Premier doveva esser sbattuto fuori da Palazzo Chigi in fretta. Ora quello nuovo dispone del lodo Alfano. Giustificazione? Ma ovvio: "è giusto che Berlusconi, forte dello straordinario consenso ottenuto alle elezioni, ora governi senza essere disturbato da altri pensieri". Signor Alfano, Signor Berlusconi: si ricordino lorsignori che avete semplicemente vinto le elezioni. Non avete preso il potere...
V-Day e V2-Day. Il Circo Massimo riempito dal PD il 25 ottobre. Le proteste pacifiche nelle università italiane. La cittadinanza che si risveglia e chiede di essere ascoltata? Macché: quattro gatti, i soliti comunisti, i soliti "somari" svogliati.
Tutte zecche fastidiose che non vogliono far lavorare il governo. Ma come? Ma se prima era lecito scendere in piazza? E la libertà? Eccola, la libertà. Negata, perché non è quella che vuole il Capo e i suoi "yes-man".
E' il caso di riflettere.
E' inutile continuare a pensare che vada tutto bene, a dire continuamente di sì al Re. E' il caso di iniziare a giudicare. E capire cosa abbiamo perso e cosa abbiamo guadagnato ora che l'incoerenza è al governo.

P.S.: proprio oggi è stato deciso lo scioglimento ufficioso di Forza Italia. Roba breve, di dieci minuti al massimo. Come al solito. Cliccare qui per credere.

venerdì 14 novembre 2008

Impossibile perdersi


Foto di Liberoliber
Un tema abbandonato da un po': presente contro passato, cosa c'è ora e cosa non c'era prima, come possono cambiarci l'esistenza gli oggetti che ora popolano la nostra vita.
Qualche settimana fa ho iniziato ad usare Facebook, un social network di cui mi affascinano più elementi, spesso anche in contrasto fra loro: è utile, divertente, buono per passarci qualche minuto a far nulla davanti allo schermo di un computer. Ma d'altro canto, sa essere totalmente inutile (se ci si passa troppo tempo) e ripetitivo (perché si vengono a sapere fatti e fatterelli che già si conoscevano a memoria). E' in grado di stravolgere concetti ormai consolidati come "amico" o "privacy". Insomma, è strano.
E' strano perché fa cadere ogni velo, ogni cosa è svelata, non c'è più il gusto di farsi domande del tipo: "chissà che fine avranno fatto Tizio e Caio?". Ora è tutto lì, a portata di clic. In una iper-comunicatività che desertifica l'immaginazione. Ne fa perdere il gusto.
Facebook è solo un'esempio: che dire dei tanti altri siti (YouTube e Flickr su tutti), che svelano angoli di vite di cui non avremmo neppure immaginato l'esistenza? Che dire di Yahoo! Answers, dove si possono trovare in pochi minuti risposte facili ad ogni nostro dubbio? Che dire di servizi come Google Maps o ancora oggetti high-tech come i navigatori satellitari?
Si perde il gusto di rimanere con un dubbio, con un "non so". Non c'è più il piacere di sbagliare strada, di prendere itinerari non convenzionali: tutti arriviamo a destinazione, sempre e comunque. Sia col corpo che con la mente.
Arrivo al solito punto interrogativo, gustoso perché so che rimarrà insoluto chissà per quanto ancora: tutto ciò ci può cambiare, cambiare il concetto stesso di "uomo"? Mah. La risposta, ovviamente, su Yahoo! Answers non c'è. Occorrerà pensarci un po' su.

lunedì 10 novembre 2008

Futuro


Foto di Odoreth_99
Mi ricollego ad un tema appena sfiorato nei post precedenti. Il futuro: ce ne sarà uno degno di essere vissuto? Quale sarà? Come sarà?
E' ovvio:" ciò-che-deve-ancora-accadere" è intellegibile per sua natura e non intendo certo mettermi a scrutare una sfera di cristallo per riuscire ad anticiparlo. Non posso prevederlo, ma posso sommariamente tracciarne i contorni con l'immaginazione: ahimé, si tratta di contorni pesantemente sfumati da una folta coltre di sfiducia.
Una sensazione voltatile, passeggera, non tangibile. Eppure presente. Basti pensare ad un semplice dato: se fino a pochi anni fa era visto come sinonimo di "miglioramento" o di "opportunità", ora "futuro" è diventata una parolaccia. Un concetto che non stuzzica più la fantasia, che non è in grado di aprire scenari nuovi, da esplorare con fiducia. Siamo come rattrappiti, tutti o quasi, nell'oggi ed in ciò che è concreto.
"Non esiste più il futuro di una volta": una bella formuletta che sta iniziando a prender piede e a diventare un nuovo motto retorico. Grossolano, forse, ma è così. Un giudizio tagliente ma vero. Desolatamente vero. La mia è la prima generazione da molti decenni a questa parte a non riuscire a sperare in un futuro migliore rispetto a quello conquistato dai propri genitori. I primi a vivere nell'epoca dell'iper-comunicatività, in cui tutti sanno tutto di tutti. Ma dove sono carenti le belle notizie, le storie che danno speranza.
Come dicevo qualche post fa, credo che Obama (pur non essendo un Messia, come molti lo hanno stereotipato) sia stato uno dei pochi uomini politici a mettersi di fronte ad un discorso come questo e a rovesciarlo. A cambiarne le parole, i termini. Iniziando a disegnarne contorni nuovi. In cui il futuro posso tornare ad essere una cosa bella.
Si torna a "sperare nella speranza" e non nella paura. E' un buon segno. O no?

sabato 8 novembre 2008

Il mondo è cambiato?


Foto mia
Sarà poi vero? Potrà questa pur splendida pagina di storia, della nostra storia recente, cambiare il mondo? Cambiarlo davvero? Non per sfiducia, ma non credo possa essere sufficiente: le interazioni che si sviluppano fra gli uomini sono innumerevoli, molte volte al particolarismo, a logiche e tipi di mentalità che sfuggono ad avvenimenti di portata mondiale come l'elezione di Obama. Non si lasciano influenzare dal mondo esterno, rimangono incatenati alla "tradizione", alla miopia, all'egoismo.
Credo però che il mondo lo si possa cambiare a passi più piccoli, un pezzo per volta. La foto pubblicata su Repubblica ne è la prova, quell'immagine mi ha subito fatto riflettere.
Ho osservato gli occhi delle due piccole della famiglia Obama. Due bambine che forse non si stanno ancora rendendo conto di costa sta accadendo al loro papà, alla gente che hanno attorno, al loro paese. Non hanno capito tutto, ma sanno che è una cosa bella. Sguardi smarriti, forse un po' timorosi ma colmi di felicità.
Quel cambiamento a piccoli passi è racchiuso in quegli occhi, ne sono il simbolo. Chissà quante persone afroamericane vi si saranno specchiate, ricordandosi di quando erano bambini, di quando veniva concesso loro poco o nulla. Di quando si guardavano attorno e pur non capendo bene che cosa stesse accadendo, capivano che era una cosa brutta. Avranno ripensato alla loro infanzia, fatta di regole ingiuste, di pregiudizi, di maltrattamenti senza spiegazione.
Ed ora, ecco il cambiamento. Piccolo, fragile, non una rivoluzione. Quel cambiamento gioioso che è racchiuso negli occhi di Sasha e Malia.

venerdì 7 novembre 2008

Dissonanze


Foto di Sebatico
L'elezione di Obama alla Casa Bianca continua a far riflettere e a dar modo di ricollegare ad essa una vasta mole di pensieri più ampi, di "link" che si intersecano, divergono, si ritrovano.
E' decisamente accattivante il teatrino che ha aperto i battenti in Italia già da prima del voto, in cui il nostro raffazzonato centro-destra si spertica in lodi nei confronti del neo-presidente, ne coglie gli aspetti più positivi, cavalca l'onda di questo entusiasmo strano (che loro, come dicevo giorni fa, non riescono a suscitare). Morale della favola: è una manovra abbastanza furba per salire sul carro del vincitore. Perché, sotto sotto, un po' "gli rode". Quindi, meglio giocare alla volpe che non può arrivare all'uva.
Non mi soffermo, poi, sulla battutaccia di Berlusconi ("giovane, bello e abbronzato"): inutile dargli contro, sapendo che è un "gaffeur" di professione. Meglio non esagerare e provare a dimenticare in fretta.
Mi ha stupito, in particolar modo, una voce fuori dal coro. Quella del senatore Gasparri: "l'elezione di Obama farà contenta Al-Qaeda". Mah. Motivo? Forse perché nero? O forse perché si chiama Obama? Obama fa rima con Osama, quindi agli occhi di Gasparri risulta ovvio il legame col terrorismo. E che dire, poi, riguardo il nome per intero del nuovo presidente americano: "Barack Hussein". Dev'esserci di mezzo anche qualche parente di Saddam: nella testa del nostro parlamentare, è suonato più di un campanello d'allarme...
Ampliando il discorso: mi domando come mai, in questo gioco di assonanze, dissonanze e rime baciate, nessuno abbia mai considerato il fatto che fascismo fa rima con comunismo. In questo caso la concezione è diversa: perché se "fascismo" è qualcosa di "passabile", "comunismo" è uguale a "bestemmia, male assoluto, cancro". Specie poi quando c'è di mezzo la violenza: teoricamente dovrebbe essere deprecabile sia in un caso che nell'altro. Macché: i giovani che continuano a prendere pacificamente le difese della scuola e dell'università sono rossi, comunisti, violenti. I fascisti che fanno irruzione negli studi Rai, no: su quelli si minimizza, si mette a tacere. "Ragazzate", nulla più. Anzi: si mette in giro qualche timida parola di supporto.
Penso a cosa sarebbe successo se i centri sociali avessero iniziato ad occupare gli studi di via Teluada o quelli di Cologno Monzese, mettendoli a soqquadro: i vari Bondi, Cicchitto e (come potrebbe mancare?) Gasparri avrebbero fatto una contro-occupazione. Di spazi televisivi, denunciando il fatto come aberrante.
Non c'è scampo: non si possono alterare certi equilibri, non si può dire che il fascismo fa schifo, né che il razzismo è deprecabile, né che in realtà (bisognerà pur metterglielo in testa) la Padania non esiste. No, bisogna tenere insieme tutto e tutti altrimenti il governo non sta in piedi.
Basta! E' ora di voltare pagina! Change!

giovedì 6 novembre 2008

Il suo presidente


Foto di New Hempshire Pubblic Radio
Altra lezione importante che ci proviene dagli Stati Uniti: Obama ha vinto, McCain ha perso. L'uno aveva tutte le mie simpatie, l'altro molte meno. Se il primo mi sembrava (e mi sembra) più credibile, nuovo, carico, l'altro lo consideravo (e continuo a considerarlo) vecchio, fiacco, inadatto a tempi come questi.
Se, dunque, la mia personalissima bilancia pesava tutta a favore di Barack, ho potuto comunque apprezzare nel suo sfidante una dote preziosa e rara in Italia: la lealtà.
McCain ha perso e lo ha fatto in modo rovinoso, ma ha avuto la franchezza e la coerenza di ammetterlo, addossandosi tutte le colpe. Non solo: nel suo primo discorso dopo aver tagliato il traguardo per secondo, si è rivolto ad Obama con parole nette e leali, per l'appunto. Lo ha chiamato "my president", "il mio presidente". Dovrebbe essere un atteggiamento normale, ma visto che di buon senso nel mio paese ce n'è poco, colgo quelle poche parole un significato stranamente pesante: c'è la fiducia anche al di là della sconfitta, apertura e disponibilità anche se su fronti avversi. Una mano tesa dopo una gara scorbutica, ostica, faticosa. Complimenti, davvero.
Da noi la normalità diventa rarissima: ecco perché quando Berlusconi perde le elezioni denuncia brogli, passa settimane a ricontare le schede, non rivolge mezza parola al rivale. Ecco perché quando "un comunista" viene eletto al Quirinale si sente soffocare, impaurito forse dall'arrivo di una nuova Armata Rossa. Ecco perché se qualcosa va male, è sempre stato qualcun'altro a causare il danno.
Come vorrei che questa idea di normalità fosse "normale" anche qui. Più che la democrazia, non era meglio se gli Stati Uniti avessero iniziato ad esportare franchezza e sincerità come quelle di McCain?

mercoledì 5 novembre 2008

Barack e i burattini...


Foto di Neal1960
Sì, forse questa volta potremo dire di aver cambiato pagina. Barack Obama: è lui il nuovo Mr. President. Uno che guarda al futuro, lo osserva con speranza, ricoprendolo di possibilità e non di paure. Non l'antidoto a tutti i mali, certo. Però la sua elezione ha scatenato un'ondata di gioia incontenibile, che ha superato gli oceani, che è stata vissuta da come un evento che riguardava tutti. Nessuno escluso.
Ecco, proprio su questo mi vorrei soffermare. Non tanto sull'importanza dell'evento in quanto tale. Mi ha impressionato, come dicevo, il carico di emozioni che ha accompagnato l'attesa dei primi risultati. Elettrizzante e commovente l'esplosione di felicità (ma non era felicità, era qualcosa di più, qualcosa che non riesco a dire), quel boato che ha percorso tutto il mondo quando si era iniziato a capire che ce l'aveva fatta.
Sono cose che noi, in questo lacerato paese, non abbiamo mai visto. Non in tempi moderni, né l'altroieri né mai. Sì, perché qui da noi ha vinto per tre volte uno che ha raccolto voti (e a milioni, per di più) fra i disinteressati, i miopi, gli impauriti. Fra i politicamente periferici: gente che non crede in un progetto più ampio. Si mobilita in vista delle elezioni e poi addio.
Ecco perché da noi non ci sono state feste, cortei, canti di giubilo, caroselli quando ha vinto: perché, pur essendo soddisfatti, la cosa non ha toccato gli elettori più di tanto.
In America, invece, la mobilitazione è stata grande, grandissima. C'è stata felicità perché aveva vinto un progetto, un sogno, uno sguardo rivolto al domani. E chi ha votato ci ha creduto davvero.
Avete presente quando abbiamo vinto i mondiali? Ecco: la stessa cosa è accaduto questa notte, ma molto più in grande, nella lunga notte americana. Dove al mattino, dicevo all'inizio, ci si è svegliati con la consapevolezza di aver voltato pagina. Arriverà mai anche da noi un mattino così bello?

venerdì 31 ottobre 2008

Fedeltà al tricolore


Foto di gendusosindaco
Sempre per la serie "non è questo il blog che avrei voluto": se le parole tremende di Cossiga mi hanno ferito, peggio ancora hanno fatto quegli orribili bastoni visti negli scontri di Piazza Navona. Fanno male sul serio, non solo in senso lato: basta chiedere a qualche malcapitato nell'inferno capitolino di mercoledì scorso. Ma fanno male anche a chi là non c'era, fanno male alla vista, fanno male al cuore.
Ma, dico io, possibile che in questo paese tutto debba passare in sordina e apparire in continuità con una ipotetica linea di coerenza? Possibile che nessuno sia in grado di dire nulla su un oggetto così squallidamente pericoloso? Perché nessuno si accorge della bestemmia ideologica, politica e storica che simboleggia quell'arnese?
Un bastone, una spranga, un ferro. Chimatelo come volete. Ad ogni modo, qualcosa che serve ad un solo fine: picchiare. Ma non è mica un'arma come le altre... No, perché è ricoperta dal tricolore.
E' questo il punto: non accetto che quel bastone sia considerato semplicemente un oggetto imprescindibile per il buon fascista da combattimento. Non ci si può e non ci si deve abituare a brutture del genere. Bisogna osservare meglio e capire: si tratta di un'arma a tutti gli effetti che, a detta dei suddetti fasci, può essere usata perché utile alla causa nazionale. Cioè: "sì, te corco de bbotte, però lo faccio in nome dell'Italia, della mia nazione". Questo è deprimente e terrificante.
In un paese sfilacciato, che non sa più ritrovarsi, in cui è messa in discussione persino la Costituzione, questo appare un comportamento perfettamente coerente, plausibile. E' o non è il caso che qualcuno dica basta a sconcezze di questo tipo?

giovedì 30 ottobre 2008

Le lacrime e il coccodrillo


Foto di Alessio85
Non era così che avevo immaginato il mio blog. E' un blog triste, un almanacco delle brutture che vedo attorno a me, che mi colpiscono, che mi fanno davvero male. Avrei preferito altri temi, un umore diverso, un po' più di gioia in queste righe.
Anche oggi, mi ritrovo a fare i conti con un mondo che capisco sempre meno. Perché pieno di stranezze, di fatti insensati, così poveri di buonsenso da far paura.
La riforma dell'Onorevole Gelmini è passata. La protesta (pacifica, gioisa, produttiva) che le si opponeva è stata fiaccata dalle parole vergognose di Cossiga. Quel "caos calmo" che viveva il mondo universitario in questi giorni è stato spezzato dagli attacchi squadristi (forse programmati?) di Piazza Navona.
Mentre accadeva tutto questo, ero a Urbino, all'università, in quella che considero ormai la mia seconda casa. Mi guardavo attorno, vedevo facce preccupate, deluse, stanche, depresse. Capivo d'un tratto che la bellezza di questi anni era tutt'a un tratto sfiorita. Forse per sempre. I diktat, una situazione che se non è regime poco ci manca, il bene comune calpestato, una riforma irresposabile, una protesta inascoltata, gli scontri, il sangue. Ho appoggiato la testa fra le mani e quasi avrei potuto piangere. Lo schifo è tale che ormai non si ha più nemmeno la forza di piangere davvero.
Ed ora, mi chiedo? Che cosa accadrà nei prossimi giorni? Ho paura: innanzi tutto perché potrebbe accadere l'irreparabile. Se c'è gente che predica sermoni in cui si parla di bastonate e sirene d'ambulanza, difficilmente si potrà vivere in maniera civile e pacifica. Ho paura soprattutto per la scuola, per l'università: che ne sarà di loro? Tanto vale iniziare a scrivere i "coccodrilli" e dolerci per le dolenti perdite.
Sì, perché quando si taglia così sulla cultura, sull'istruzione, sulla scuola, sull'università vuol dire che vuoi ucciderle. Che ormai sono cose superflue. Ma se tutto ciò è il superfluo, che cosa è necessario? Cosa?

lunedì 13 ottobre 2008

Italiani all'estero


Foto di corriere.it
Tanti blog sanno comunicare molte sensazione anche semplicemente pubblicando una foto. Non è nel mio stile, ma credo che questa volta ci sia poco da aggiungere: mi riferisco alla partita che l'Italia ha giocato sabato a Sofia, in Bulgaria. Esposizione di croci celtiche, braccia tese, bandiere bulgare date alle fiamme, tafferugli. Un episodio penoso e avvilente dal quale, volendo, potremmo far emergere una miriade di considerazioni: sulla fatica a superare il nostro buio passato, sul ruolo dei mass media in vicende di questo tipo, sulle bassezze che popolano il mondo del calcio e via dicendo.
Vorrei poter soffermarmi un po'. Ma lo schifo e lo sdegno colmano la misura: mai come in questo caso ogni commento aggiuntivo sarebbe superfluo. Queste poche righe vogliono solo essere un monito, un memorandum: per vedere se e quando ci sarà una prossima volta, per confrontare quanto ancora in basso potremo scendere. Oppure per provare a girare pagina.

giovedì 9 ottobre 2008

Va tutto bene. O no?


Foto di Fede SK8
Nell'ultimo post, seppure di sfuggita, avevo parlato di mass media. Già che ci sono rimango in tema.
Spesso, quasi per gioco, provo a guardare la nostra televisione con gli occhi di uno straniero, che giunge per la prima volta in Italia, che non conosce la nostra lingua. E che non conosce neppure così a fondo gli italiani.
Bene. Anche una persona di scarsa intelligenza si rende conto di quanto i nostri schermi siano stridenti, contraddittori, vuoti in maniera paurosa. Che idea si potranno mai fare, questi ipotetici occhi forestieri, di noi, della nostra cultura, di ciò che produciamo? Un'idea molto frastagliata, disomogenea.
Perché? Beh, basta guardare un telegiornale, un qualsiasi programma "di approfondimento", basta osservare le nostre pubblicità. Sui nostri schermi c'è di tutto, in un range che va dal Billionaire di Briatore al pensionato che non arriva alla fine del mese; dai consigli per una spesa votata al risparmio, alle feste dei vip; auto di lusso, yatch, orologi, profumi ed angoli arretrati, colmi di fatica, rassegnazione, criminalità.
Un esempio: Studio Aperto. Certo non l'archetipo della buona informazione, ma a suo modo comunque indicativo: si tratta di un grande recipiente al cui interno c'è posto per tutto: si parte col classico disagio per la mancanza di sicurezza, si racconta di qualche omicidio, si distribuisce un'abbondante dose di paura (per il topo d'appartamento, per l'extracomunitario, per l'omicida di turno). Poi si cambia registro: sì, perché poi arrivano il sorrisone di Sua Emittenza assieme a tutto il resto della banda. Ecco allora una buona iniezione di fiducia: niente paura cittadini e telespettatori (che poi è lo stesso), il male c'è ma abbiamo anche un ottimo farmaco per curarlo. Poi si scivola serenamente sulla valletta di turno, sull'ultimo amore di Tizio o Caio, sulla splendida gravidanza di questa o quella.
Dev'esserci una logica, dietro tutto questo. Della quale, in parte, me ne sfugge il senso. A chi è utile un servizio di questo tipo? Perché questi "racconti del mondo" così sfilacciati e incoerenti?

P.S.: per riflettere: odiostudioaperto.blogspot.com

martedì 7 ottobre 2008

Idee diverse


Foto da http://www.free-os.it
Si sono accavallati nella mia testa, in questi ultimi giorni, un numero spropositato di piccoli pensieri e ragionamenti. Buon segno, direi. Spero di riuscire a metterli in fila.
Inizio con una domanda, nata dopo aver incrociato quasi per caso una famosissima citazione di Voltaire che recita più o meno così: "non condivido le tue idee, ma lotterò fino alla morte perché tu possa esprimerle". Belle parole, non c'è dubbio. Dovrebbero essere l'architrave di ogni corretta e leale forma di democrazia, di ogni stato che possa dirsi "libero". Il pensiero liberale (addirittura!) ne ha fatto un motto imprescindibile.
Bene. La domanda dunque è: il nostro Presidente del Consiglio sarebbe disposto a dire altrettanto? A credere in questa massima? Lui, proprio lui che si dice democratico, amante della libertà, uomo del popolo?
Tante sono le domande che in questo blog ho posto ed ho lasciato cadere nel vuoto. Ma in questo caso direi che la risposta è pressoché scontata.
In questi anni, dopo la "discesa in campo", Berlusconi ha detto, ridetto, stravolto, deciso, riso, scherzato. Ha messo in scena diverse parti: l'autoritario, il guascone, il cantante, il decisionista, il risolutore. Ne ha fatte di cotte e di crude.
A una cosa è stato molto attento: ad allontanare gli avversari, zittendoli. Gli oppositori sono solo uno scomodo intralcio: meglio non rispondere, minimizzare, alzare la voce per coprirli.
Prova ne siano le sue televisioni, i suoi giornali e tg: fedeli al Capo sino alla morte. Strenui difensori della sua libertà, non quella di tutti. Sordi a chi la pensa diversamente. Si tratta di forme moderne di servilismo e cortigianeria (che vanno dal granitico Emilio Fede alla più recente Vezzali, cliccare qui per credere), pericolose perché amplificate dalla tv, che in altri paesi non esistono. Ma noi, si sa, in certi campi vogliamo essere i primi, e i migliori.

giovedì 25 settembre 2008

Il problema del grembiule


Foto di * vespertine
"Giovani": un aggettivo vago, una categoria ampia alla quale, chissà ancora per quanto tempo, credo di appartenere anch'io. Per capire meglio questo mondo ho deciso di leggere un libro molto interessante: si tratta de "L'ospite inquietante - Il nichilismo e i giovani" del filosofo e psicanalista Umberto Galimberti. Di temi, problematiche, spunti di riflessione se ne trovano a bizzeffe. Un capitolo, in particolare, mi ha molto interessato: quello sulla scuola. Impossibile non collegarlo, uscendo dalle pagine del libro, con l'attualità e col chiacchiericcio che ha seguito la "riformina" del ministro Gelmini.
Dice Galimberti, dopo aver descritto i tanti mali di cui soffre la nostra scuola:
essi si possono risolvere solo con la formazione, non solo la preparazione, di professori che abbiano come tensione della loro vita la cura dei giovani. E come non si può fare i corazzieri se si è alti un metro e cinquanta, cominciamo a chiederci perché si può insegnare per il solo fatto di possedere una laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza psicologica, alla capacità di comunicazione, al carisma.
Difficile trovare parole migliori. Si tratta di un concetto che credo di possedere da tempo, ma che non sono mai riuscito a mettere in parole: la scuola è un'istituzione fondamentale, peccato che le sue strutture vacillino in un gioco al ribasso che porta tanto gli insegnanti quanto gli alunni a fare sempre di meno. A non capirsi e a non capire ciò che devono fare.
Galimberti arriva ad un nodo cruciale, arrivando a spiegare quali devono essere le competenze di chi insegna. Perché solo così si potrà ritornare a far funzionare la scuola, a riconsiderarla come uno strumento ultile per la società.
Quanta rozzezza, quanta faciloneria ci sono invece nei provvedimenti studiati dalla Gelmini: grembiule, maestro unico, voti espressi in decimi, bocciatura per cattiva condotta. E via, pochi discorsi. Come se queste fossero le vere soluzioni ai problemi di una classe: impassibilità, intolleranza, pugno duro.
Questa gente che governa, che legifera, che decide delle sorti di milioni di persone vive una vita già piuttosto distante dalle piazze, dalle strade, dalle case della gente "normale". Figuriamoci se questi signori (e signore) sanno qualcosa di quel che accade dentro una scuola. Di conflitti, di paure, di speranze disattese, di frustrazioni (sia per chi insegna che per chi impara) ce ne sono a non finire. Eppure, per loro, il problema principale è quello del grembiule.
Assurdo.

P.S.: consiglio di vedere questo video in cui Galimberti discute de "L'ospite inquietante" con Corrado Augias.

martedì 23 settembre 2008

Amore (ed altro) al tempo dei reality


Foto di catacresi
Potenza della televisione: è il primo elettrodomestico in grado di scrivere pagine importanti all'interno della biografia di ognuno di noi. Alzi la mano chi non ricorda un anno particolare, un avvenimento, un momento della propria vita associato ad un programma televisivo, ad un fatto raccontato da un tg, ad un telefilm. Di per se la cosa non mi scandalizza, anzi mi sembra interessante. Bisognerebbe però capire da quali esempi prendiamo spunto e quali tracce lasciano nella nostra vita.
Ci sono stati gli anni di "Non è la RAI", quelli di "Beverly Hills 90210", di "Friends". E si potrebbe continuare all'infinito. Ma oggi?
Oggi esiste solo il reality, il reality sopra ogni cosa: è da lì che un gran numero di giovani e giovanissimi attinge modi di dire, di comportarsi, di atteggiarsi. Da lì s'impara come gestire sentimenti, emozioni, speranze.
Personalmente, spero che certi esempi vengano guardati con un certo distacco, con un filo di divertita compassione se serve. Ma che non entrino mai a far parte del proprio modo di essere. Perché potrebbe essere molto pericoloso.
Provo a fare alcuni esempi, giusto per capire cosa succede: mi viene in mente
il modo in cui viene trattato l'amore in tv. Ogni giorno, dopo pranzo, si vedono su Canale 5 ragazzi e ragazze che si prendono, si mollano, si riprendono, fanno diventare una soap opera i loro sentimenti, ci giocano quasi. Mettendo la propria storia in pubblico si diventa famosi, si ha un pubblico. E nella vita reale, quella di tutti i giorni, fatta di scuola, casa, amici, passeggiate in centro e cellulari, ci sono una miriade di ragazzini pronti a fare lo stesso. A comportarsi allo stesso modo. Lo trovo assurdo.
Ma, cambiando leggermente discorso, penso anche ad altri reality show, quelli in cui i protagonisti sono divisi in squadre: litigano, blaterano, fanno discorsi inutili, una "giuria" di incompetenti rincara la dose,
il pubblico a casa è chiamato a prender parte e a schierarsi. Ecco, è la forma più moderna ed aggiornata del "divide et impera": i reality ti spingono a pensare a cose frivole, intanto la vita passa e per le scelte più importanti c'è qualcun'altro che decide per te.
E questo il Presidente del Consiglio, nonché i proprietari dei maggiori media del paese (che poi sono la stessa persona), lo sanno bene. Benissimo.

lunedì 22 settembre 2008

Se nessuno parla di cose meravigliose


Foto di Ibleo
In un suo articolo, non molto tempo fa, Ilvo Diamanti tentava di "isolare" e descrivere una caratteristica poco invidiabile della nostra società. Una sensazione diffusa che non ci permette di crescere ed anzi, peggio, ci immobilizza. La definiva "insicurezza per default": aleggia un senso di instabilità tale che neppure ce ne rendiamo più conto. La paura e il fatalismo come elementi costitutivi della nostra cultura. Un'analisi triste, ma tremendamente veritiera.
Un malessere sottile, quasi invisibile eppure a tempo stesso ampio e diffuso che merita di esser studiato da vicino: mi piacerebbe capire da dove nasce, come si è sviluppato, quanto realmente condiziona la nostra esistenza.
Provo a dare una risposta mia, prendendo spunto dal titolo di un libro: il fatto è che nessuno parla più di cose meravigliose. I media ci hanno abituati a fatti "anormali", che meritano di essere raccontati proprio perché sono altro rispetto al normale scorrere della vita: è la crisi ciò che interessa, ciò che esula dalla normalità. Le cose semplici, genuine, quelle sempre uguali a loro stesse non interessano né fanno notizia.
E' così che crolla l'inventiva, la voglia di fare, di sperimentare, di guardare con positività a ciò che si ha intorno. Se la percezione è quella di un mondo visto come la parte mezza vuota del bicchiere, crescere sarà difficile per tutti. Sia per i singoli quanto per le comunità.
Meglio allora vivere in un mondo ridanciano, frivolo, sin troppo spensierato? No, non mi auguro neppure questo. La giusta misura, come sempre, sta nel mezzo: vorrei solo che la nostra società, io, tutti si sia in grado di dare il giusto peso alle cose. Tornando a gioire quando intorno a noi ce ne sono di meravigliose.

domenica 21 settembre 2008

Odio l'estate


Foto di luigi.carrieri
Quando la bella stagione è agli sgoccioli, di solito, non resta di lei che qualche fotografia da guardare, due o tre canzoni da riascoltare, ricordi agrodolci che pian piano diventano sempre più rarefatti. E' fatta spesso di giorni che si vorrebbe rivivere infinite volte. E' veloce, passa in fretta e molto spesso sfugge via senza neppure accorgersene.
A me, però, l'estate non piace. Il caldo, l'aria bollente, il sole che picchia. L'ambiente ideale per mettere sotto sedativi il cervello, abbassare la serranda del ragionare, della voglia di creare, di credere in un'idea. In estate basta una spiaggia, un lettino, un cruciverba e poi chissenefrega. Per questo odio l'estate: non che sia una brutta stagione di per se stessa, quanto più perché passa e, senza che neppure ce se ne renda conto, strascica noia e ripetitività.
Lo vedo intorno a me. L'ho sperimentato lungo tutta questa stagione. L'ho provato sulla mia pelle: avrei potuto raccontare tanto di me, di quel che mi accadeva attorno, di un gran numero di fatti e fatterelli più o meno seri che meritavano di essere appuntati. E che invece si sono liquefatti. Come un ghiacciolo al sole.
Tutto sembrava possibile, tutto poteva accadere. E invece nulla, o quasi. Solo qualche ricordo che già inizia a svanire.
La odio, l'estate.

lunedì 12 maggio 2008

La ragion di Stato e la verità


Foto di gaiaccia
Impossibile restare impassibili di fronte a quanto è successo sabato a "Che tempo che fa". Piccoli fatti che, al solito, scatenano ragionamenti più ampi. Provo a fare un po' d'ordine.
Marco Travaglio sabato era ospite alla trasmissione di Fabio Fazio (cliccare qui per i video: parte 1, parte 2, parte 3). Nel corso dell'intervista, il bravo e preciso giornalista ha tirato in ballo il neo-presidente del Senato Schifani. Semplice racconto dei fatti, diranno alcuni. Accuse gravissime, diranno altri. Solito polverone fatto di chiacchiericci, accuse, querele, pubbliche scuse nel quale è difficile distinguere la ragione e il torto. Basta guardare un po' più a fondo, però, per capire che per l'ennesima volta ci troviamo di fronte ad un'informazione distorta, ad un sistema politico impreparato, alla solita, inutile lotta per far prevalere una ragione sull'altra. Occorre fare dei distinguo.
Lo scontro, alla fin fine, è fra la ragion di Stato, con le sue istituzioni e uomini chiave, e la verità. Non assoluta, certo. Ma che si attiene ai fatti, veri, reali. Un giornalista questo deve fare, è il suo lavoro. Certo, non deve scadere nella diffamazione. Ma è giusto che si informi e faccia informazione.
La controparte, dal canto suo, non deve ritenersi intoccabile. Si apra, spieghi, dialoghi. Irrigidirsi è sempre un brutto segno: è come ammettere la propria colpa, chi è tranquillo non lo farebbe. Parlare di "attacchi" pure: significa vedere contrapposizioni inesistenti.
Tutto il caso, poi, è ingigantito perché di mezzo c'è la televisione. Anzi, essa è la causa ed il megafono, l'amplificatore di tutta la questione. Ciò che dice Travaglio non può avere un peso specifico solo in tv. Perché in pochi ce l'hanno coi suoi articoli, coi suoi libri, con le sue conferenze? Perché essa è considerata un'arma potente. Che deve riprodurre un certo sistema morale, normativo, politico (lo Stato), non andargli contro. Discorso estremamente razionale, per carità. Ma, anche se scomoda, la verità dev'esser divulgata. Saranno poi i destinatari a decidere a chi dar credito.
Non mi è piaciuto troppo neppure l'atteggiamento del PD. Certo non doveva rincarare la dose, ma quantomeno smarcarsi da queste logiche di contrapposizione tra la ragion di Stato e la verità. "Non c'era contraddittorio", dice la Finocchiaro. Ma se la verità è tale, se è detta da uno di cui ci si può fidare (e di Travaglio ci si può fidare) allora non ha bisogno di un contraltare. Basta a se stessa. E avanza.
Insomma: tutte le posizioni possono essere plausibili. Certo, c'è bisogno di onestà a monte. E di trasparenza, poi. Troppo pochi, però, quelli che la cercano davvero.

giovedì 8 maggio 2008

L'uomo verde


Foto di BHowdy
Non che mi aspettassi chissà che da Berlusconi. Ormai ho capito com'è fatto. Però uno spiraglio di speranza voglio tenerlo aperto, quantomeno per sognare un domani in cui il Cavaliere tragga spunto dagli errori del passato e si sappia correggere. Più fesso io che questa possibilità gliela concedo. Perché puntualmente ci ricasca.
Tronfio di gioia per aver creato un governo in 25 giorni, Silvio ha presentato la lista dei ministri: alcuni nuovi, altri già noti. Fra questi, c'era da aspettarselo, figura anche Roberto Calderoli. Notizia positiva: almeno non è vice-premier. Notizia negativa: gli hanno ritagliato su misura un ministero (senza portafoglio) nuovo di zecca. Sarà infatti ministro per la semplificazione. Ministro per la semplificazione?!? Lui?!? Sì, ministro per al semplificazione, embè?
Gelo. Ricordiamoci che Calderoli è quello del "Porcellum", della legge elettorale da lui stesso ribattezzata come "legge-porcata"; è quello che, nella passata legislatura, sedendo (oggi come allora) in parlamento come ministro, si presentò al Tg1 con la famosa t-shirt offensiva nei confronti dell'Islam; è quello che, dal suo bagaglio lessicale, attinge spesso strani vocaboli come "ricchioni", "culattoni", "froci", "negri", "barboni" e via dicendo. Come se nulla fosse.
Dunque, tanto per ricapitolare. Primo: ha creato una legge elettorale cervellotica, impossibile, da labirintite. Un unico obiettivo (raggiunto, a vedere i fatti): far vincere la sinistra senza darle modo di governare davvero. Per dirla con altri termini: far piombare il nostro paese (l'Italia, non la Padania) nel caos. Secondo: in tv non vengono dette tante cose più importanti, si oscurano volutamente notizie, fatti, satira persino. E a questo signore, solo perché ministro, gli si permette di andare alle otto e mezzo di sera davanti a milioni di italiani a prendersi beffe della religione islamica? Vergogna! Terzo: al posto di girare tanto attorno ai termini, basterebbe innanzi tutto parlare di "persone". Di esseri umani. Punto. Buoni o cattivi, belli o brutti: questo siamo. Le definizioni taglienti servono a poco, il più delle volte.
Che dire: questo essere è un maestro della semplificazione. L'uomo giusto al posto giusto. Ha fatto più casini lui che un elefante in un negozio di cristalli.
Che pena. Davvero non cambieremo mai.

martedì 6 maggio 2008

L'uomo nero


Foto di aaaah
Nicola è morto. Nicola è il ragazzo barbaramente picchiato qualche giorno fa da un gruppo di "ragazzi" che non sono ragazzi, sono delle bestie. Una storia che gela il sangue nelle vene. Ma che non va dimenticata.
Così come non va dimenticato un elemento importante: questo abominio non è opera del solito romeno, del solito marocchino, del solito terrone. Non sono stati "i soliti", "quelli che danno solo fastidio", "gli extracomunitari". Peccato: contro di loro è sempre molto facile prendersela.
No, questa volta sono stati "i nostri", ragazzi come me, come noi, inseriti a pieno nella nostra società. Cresciuti, però, in una (non) cultura fatta di odio per il diverso. Diversità che vedono ovunque, anche in un "no" di un giovane che ha rifiutato da loro una sigaretta. Sentono aumentare al massimo il pericolo ed allora si stringono in gruppi, in branchi, in ronde che esistono perché c'è un nemico da eliminare. Possibile vedere ancora il mondo in questi termini? Evidentemente sì per alcuni. L'importante è che non ci si abitui, che il tutto non scorra via come se nulla fosse.
Dire che tutti gli extracomunitari sono delinquenti fa comodo. Parecchio comodo. Si mette tutto in unico calderone e buonanotte. Ma in questo caso? Cosa si fa? Nulla? Si fa passare tutto in sordina? Ecco il risultato delle ronde notturne: odio, coltelli, pestaggi. Ecco i rigurgiti fascisti. Ecco il dolore che torna per le strade. Portato da ragazzi come me.
E adesso? Dall'uomo nero chi ci protegge? Se l'uomo nero ci protegge dai "delinquenti" ma, durante le ronde, a tempo perso, si mette a picchiare chiunque si trovi davanti allora dov'è la sicurezza? Chi la porta?
Fermare questa spirale. Basta. Stop. Lo stato deve intervenire, nessun altro. Se ognuno si mette a menar le mani si torna nello stato di natura, sopravvive solo il più forte.
Ma senti cosa c'è ancora bisogno di scrivere, nel 2008...

venerdì 2 maggio 2008

Totalmente impreparati


Foto di justfrank001
Credo che pian piano, a piccoli passi, stiamo tentando di toccare il fondo. Anzi, di andare sotto il fondo. L'impressione mi sorge da una notizia di attualità: la decisione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, di pubblicare sul proprio sito internet i redditi degli italiani.
Io non ne capisco molto, sono ancora "periferico" rispetto a fatti come questi, non saprei in definitiva dire se è stata una mossa saggia o una porcata. Non so, non mi pronuncio.
Ma un fatto come questo dà modo di riflettere, di guardare un po' più da vicino il nostro modo di fare e le nostre reazioni: premettendo che tutti i dati riguardanti i redditi sono pubblici ed alla luce del sole, prima si è deciso di mettere tutto on-line salvo poi fare dietro-front perché poi i dati sarebbero diventati ingovernabili. Il sito in questione ha immediatamente rimosso le documentazioni riguardanti i redditi. Peccato però che non avevano pensato ad e-mule: lì i dati circolano liberamente, non puoi bloccarli. Allora si è arrivati a dire che, essendo il possesso degli stessi un reato contro la privacy, si rischiavano pene severe per coloro i quali fossero stati trovati coi file delle dichiarazioni 740 di Tizio, Caio e Sempronio.
Un pasticcio infinito. Un turbinio di incomprensioni, malintesi, voci, smentite che non ha fatto altre che generare un sentimento cui noi italiani siamo ormai affezionati: l'immobilismo. Quell'idea che, sotto sotto, porta a pensare che tanto tutto va male, che non si riesce mai a fare le cose come andrebbero fatte, che all'estero queste cose non succedono e bla bla bla...
Impreparati. A tutto. Ecco cosa siamo: degli eterni impreparati. Nessuno sa cosa fare, nessuno sa come venirne fuori. Tutti blaterano a gran voce ma in pochi fanno qualcosa.
Ma, dico io: se questi dati sono pubblici, reperibili nelle Agenzie, perché metterli "anche" on-line? E, sempre se sono pubblici, allora perché possederli sul proprio computer è da considerarsi un reato? E soprattutto, perché siamo così pericolosamente ficcanaso? Perché documenti come questi finiscono puntualmente nelle mani sbagliate? Perché si urla all'insurrezione contro Visco, quando questi non c'entra niente? Quali sono i danni che lo Stato dovrebbe risarcire?
Quando scoperchiamo certe pentole, solitamente noi italiani non facciamo mancare ampi strascichi polemici in seguito all'apertura stessa. La pentola continua a bollire, tutti parlano, nessuno sa cosa farne. Ecco perché siamo impreparati.

sabato 26 aprile 2008

Politica, antipolitica e anti-antipolitica


Foto di Alessandro Boselli
Da tempo volevo scrivere due parole su Beppe Grillo e tutto ciò che ruota attorno a questa "costellazione". Il problema è che fra queste orbite (in cui si mescolano società civile, politica, antipolitica, istituzioni, proposte, proteste e chi più ne ha più ne metta) fatico sempre più a capirci qualcosa. Ci sono punti che accolgo in pieno ed altri che mi sfuggono. Cogliendo l'occasione del V2-Day di ieri, cerco di ricostruire un mio personalissimo quadro sulla situazione. Non so bene quanto mi ci vorrà e se giungerò a capo di qualcosa. Ci provo, comunque.
Parto dai dubbi. Il male contro cui si batte Grillo è il seguente: viviamo in una democrazia che sempre più spesso fa rima con lassismo, con disinteresse, col tirare a campare. Quando va bene. Quando va male, c'è qualcuno che se ne approfitta e fa quel che vuole, con il massimo profitto per sé stesso ed il massimo danno per la società.
Opporsi a questo status quo è sacrosanto, ci mancherebbe. Però bisogna capire dove si vuole arrivare. Perché è sempre di democrazia che si sta parlando. Giocarci troppo sopra può essere pericoloso. In altre parole: esiste un quadro normativo che, pur con troppi lati oscuri, dà spazio a tutti. Volerlo cambiare, come auspica Grillo, è giusto. Però se lo si sostituisce con le istanze, le idee, le direttive di uno solo si torna al punto di partenza.
Per dirla con Michel Foucault: difficilmente il potere può essere veramente cambiato, sovvertito. Ci possono essere delle sostituzioni, al limite. Che inquadreranno un nuovo regime normativo, morale, etico con le sue leggi e le sue norme.
In molti hanno visto in Grillo il germe di un nuovo tipo di fascismo, che prolifera sulle radici ben salde dell'antipolitica. Su questo non sono d'accordo: difficile vedere nel comico genovese un nuovo Mussolini, ci mancherebbe. Però il rischio è che questo analizzare il problema, proponendo una soluzione unitaria che spazzi via tutto il resto, può portare ad una ridifinizione di tutta la struttura, politica e sociale. In nome di ideali che hanno una sola fonte. Questo mi convince poco.
Inutile negarlo: certe istanze aggregate e portate avanti da Grillo sono più che condivisibili, estremamente razionali. Forse spaventano un po' perché urlate, o forse perché sfuggono al canale principale in cui confluiscono le idee per il bene comune: la politica. Che dovrebbe governare ed invece, troppo spesso, genera solo immobilismo. Forse sono due strade che dovrebbero incontrarsi. Perché possano lavorare meglio entrambe.
Non mi piace troppo, Grillo, neppure quando, nel tentativo di proporre antidoti nuovi contro i mali sopra citati, mette in un unico calderone tutti i politici, tutti i partiti, tutti i giornali, tutti i canali di informazione e partecipazione. Occorrerebbe distinguere, capendo che c'è del buono da salvaguardare e del marcio da eliminare. Ma quando si porta avanti una battaglia come la sua, è inevitabile, non si va tanto per il sottile.
Capisco anch'io che abbiamo strumenti politici insufficienti, cervellotici, incostituzionali talvolta. Però in certi casi bisogna utilizzarli comunque, cercando lo stesso il migliore fra quelli disponibili. "Pubblicizzare" l'astensionismo può essere comprensibile. Peccato però che così facendo si perde un occasione. E quando le cose non vanno si crea il terreno adatto per l'azione politica di Sua Emittenza, che di questi espedienti si ciba.
Queste e tante altre cose non mi convincono. Ma altre vanno sottolineate, visto che ci sono anche dei "pro": non mi convince quando non si riesce a vedere più in là del proprio orto, finendo per bollare Grillo e ciò che gli gira attorno come "antipolitica". Quasi a voler marcare una differenza fra un bene e un male che, fondamentalmente, non esiste. Fermo restando il rispetto per gli altri, ognuno è libero di portare avanti come meglio crede le proprie idee. Inutile, perciò, parlare di antipolitica e definire con appellativi poco carini tutte le persone che partecipano attivamente alle battaglie proposte da Grillo.
Mi piace anche il modo in cui vengono unite le persone, sfruttando canali nuovi (internet) e modalità di comunicazione mai praticate prima (molte parolacce, pazienza, ma soprattutto qualche risata, il che non fa mai male).
Il tema è complesso, ampio. Forse è inutile cercare di andare così a fondo, però certi dubbi rimangono. Probabilmente perché si tratta di una novità, un elemento che rompe col passato e col quale ancora non sono in grado di fare i conti. Ho fatto un primo passo in questo senso, ma occorrerà tornare su questo sentiero.

venerdì 25 aprile 2008

Uso pubblico della libertà


Foto di BARUDA
Non di rado si sente parlare di uso pubblico della storia. Formula utilizzata da sociologi, politologi ma soprattutto storici per indicare quel processo in cui la storia viene sradicata dal suo contesto naturale, presa e spesso manipolata al fine di sostenere tesi, consolidare istituzioni e via dicendo.
Processo non infrequente specie se ci si trova a commentare il senso di una giornata come quella di oggi: 25 aprile 1945, Milano e Torino sono libere dal nazifascismo, l'Italia inizia a progettare il suo futuro. Una data che è storia, simbolo, fondamento del nostro stare insieme. Ogni storpiatura, ogni tentativo di appiccicarle addosso significati differenti è destinato a fallire: il contesto era diverso, ogni parallelismo col presente diventa impossibile.
Anche se non c'è nulla di sacro nella storia di una nazione democratica come (almeno così si dice) dovrebbe essere la nostra, distorcere il significato di questa festa ha comunque un che di sacrilego: per alcuni, riconoscere che il nostro paese ha un certo passato, che si basa su certi valori, che vive grazie al sacrificio di altri potrebbe essere un boccone assai indigesto. Eppure la storia ha deciso questo. Un atto di schifosa viltà farne un discorso di parte, oggi.
Già, perché la nostra classe dirigente si riempe la bocca con sproloqui sulla libertà. Poco dopo chiede che i libri di storia vengano revisionati per togliere l'enfasi di cui sono rivestite le pagine sulla resistenza.
Questi dovrebbero prima sapere che cosa sia, questa libertà. Come la si conquista, quando inizia a mancare. Che tipo di libertà vogliono: in quali ambiti, da chi, da cosa, per chi, con quali mezzi, con quali scopi?
"Libertà" è una parola potente. Troppo, forse. Sicuramente difficile da definire, tale è l'immensità del suo significato. Ho imparato a diffidare da chi la usa troppo spesso, soffiandola sugli altri come fumo negli occhi. Posso solo immaginare che vita infernale sarebbe, se ci venisse tolta sul serio. Non si preoccupino, questi signori: di libertà ne godono sin troppa.
Buon 25 aprile a tutti. Di cuore.

mercoledì 23 aprile 2008

Nubi sul Quirinale


Foto di Luigi Rosa
Sicuramente in questi giorni all'interno del dibattito politico si sta parlando di tutt'altre questioni. Io invece sono inciampato quasi per caso su un dettaglio che forse è bene ampliare, perché anche altri se ne accorgano.
Nel fare l'analisi delle elezioni della settimana scorsa e dei prossimi cinque anni di questo governo, in più di un'occasione ho letto cose del tipo "quello del 2008 è un Berlusconi più stanco, incapace di vendere miracoli come un tempo" oppure "ha già sistemato quel che doveva sistemare" o ancora "è evidente che si sta preparando ad entrare nella storia del Paese come Presidente della Repubblica".
Un'impressione che in tanti hanno. Concreta. Neppure poi tanto campata in aria. Eppure, a mio avviso, meritevole di essere guardata un po' più da vicino. Credo che un'ipotesi politica come questa non debba esser bisbigliata a bassa voce né esser presa per buona a priori.
Il Cavaliere ha gestito per anni il dibattito politico, ne ha scandito i tempi, ha imposto modi di pensare e parlare tutti suoi. In molti, indipendentemente dal colore politico, si sono come assuefatti a tali dinamiche. Ecco perché un'idea come quella di raggiungere l'Olimpo del Quirinale appare "normale", scontata, fattibile.
Lo dicevo qualche post fa: non mi voglio abituare a questi modi di fare, a questa politica raffazzonata dove tutto sembra possibile. Dove tutto diventa possibile.
Non per cattiveria nei suoi confronti. Non perché qualcosa o qualcuno glielo possa impedire. Non per semplicistiche contrapposizioni di parte. Berlusconi non può diventare il Presidente della Repubblica, a mio avviso, per una mera questione di buon senso. Dono prezioso, in questo paese, ma qualche rimasuglio qua e là ce n'è.
Il Cavaliere è uomo di parte. Troppo inserito in uno scontro politico, etico, sociale e mediatico dal quale è difficile staccarlo. Una figura che è difficile immaginare come garante dell'unità nazionale. Eccessivamente pieno di vanagloria e per questo inadatto a ricoprire certi ruoli.
Saremmo alla dittatura. Una dolce, carezzevole, televisiva dittatura. Si aprirebbero scenari poco edificanti, da quarto, quinto mondo.
Di tempo per verificare se questa idea si tradurrà in realtà ce n'è a iosa. Ed è solo col tempo che potremo verificare se l'assuefazione ad essa avrà piegato tutto e tutti o se c'è, se ci sarà qualcuno ancora capace di opporvisi.
Spero di sì. Altrimenti sul Quirinale vedo nubi minacciose.

martedì 22 aprile 2008

I non luoghi


Foto di HamWithCam
Spesso mi imbatto in inutili tentativi di separare il presente dal passato, ciò che esiste oggi da quel che ieri non c'era, ciò che fornisce porzioni di senso alla nostra società da quel che in passato di senso non ne aveva affatto. Questa zona liminare è difficile da esplorare, ma alcuni elementi aiutano ad orientarsi. Fra questi ci sono i cosiddetti "non luoghi".
Tempo fa lessi a riguardo un articolo. Il tema mi interessò molto ma la lettura fu molto frettolosa. Quel particolare termine, "non luogo", mi rimase però impresso. Quasi subito ne intuii il senso, almeno in maniera grossolana; poi ho sentito il bisogno di entrarvi dentro un po' meglio.
La nostra società (quella occidentale, quella teoricamente evoluta e che vuol proiettarsi nel terzo millennio) è piena di non luoghi. Si tratta di zone di transito, artificiali, spesso legate al commercio. Piccoli pezzi di mondo in cui i tratti della modernità e della globalizzazione emergono in maniera prorompente. Zone franche, in cui tutti passano ma nessuno vi abita.
Basta prendere la foto sopra: potrebbe essere scattata in qualsiasi posto del mondo. Quell'ambiente potrebbe essere ripetuto uguale a se stesso per infinite volte. Ancona, Milano, Stoccolma, Atlanta. Chissà. Un muro giallo e blu. Il giallo e il blu dell'Ikea. Una multinazionale sparsa in tutto il mondo.
Ci vedo, in quello scatto, un senso di confusione e straniamento. Sensazioni che mi intimoriscono e mi affascinano a tempo stesso. Un ambiente in cui le particolarità e le peculiarità vengono annullate. Sei a casa tua, nella tua città. Eppure a tempo stesso, potenzialmente, in ogni luogo. Straniero a casa propria. Cittadino di tutto il mondo.
I centri commerciali, gli aeroporti, i parchi divertimento, il palco di San Remo, le grandi fiere. Non luoghi in cui la modernità ha posto una cesura netta col passato. Bruttissimi perché isolati da un contesto che brulica vitalità da anni, secoli. Interessanti perché occorrerebbe capire come l'essere umano reagisce, una volta che vi transita.

P.S.: su questo tema due interessanti letture che spero di fare nei prossimi mesi possono essere "Nonluoghi - Introduzione a una antropologia della surmodernità" edito da Eleuthera e "Disneyland ed altri nonluoghi" edito da Bollati Boringhieri, opere entrambe scritte dall'antropologo Marc Augé.

sabato 19 aprile 2008

Fissare un'idea


Foto di gabssnake
Solite questioni irrisolte riguardo il tema della comunicazione. Domande che mi ero posto già diversi post fa: comunicare, comunicare verso le masse, è sempre un bene o può generare immobilismo?
Non c'è dubbio: il comunicare, l'informare ed essere informati, la conoscenza sono beni preziosissimi. Guai se non ci fossero. Il problema è che non ho ancora capito come considerare, se ve n'è uno, l'altro lato di questa medaglia.
Scendo in esempi concreti: la possibilità di ricevere (da tv, radio, giornali, internet...) e creare (tramite blog, forum, YouTube, Flickr eccetera) informazione si traduce in un'opportunità nuova, che in epoche e realtà diverse dalla nostra non è pensabile. Quella di poter fissare le idee, i concetti, le notizie. Prima si aveva percezione di un mondo ristretto, fatto solo da ciò che è visibile e udibile nel proprio contesto. Ora il mondo è diventato di colpo più ampio ed a tempo stesso le distanze si sono accorciate: questo perché tutti sono in contatto con tutti. Le idee si fissano, ognuno può far sentire la propria voce.
Ma è proprio qui che sorgono i dubbi: questa possibilità potenzialmente sconfinata di comunicare può cambiare l'essere umano? Quanti e quali avvenimenti non si sono realizzati, nel passato, solo perché le idee rimanevano volatili? Quanti quelli che, al giorno d'oggi, si realizzano solo perché c'è la comunicazione di massa?
Esempio uno: l'unificazione d'Italia. La premessa, la base su cui si fonda (non senza fatica) lo stare insieme del nostro paese. Qualcosa di indubbiamente positivo. Ma pensiamo a quante realtà diverse e disomogenee si sono dovute piegare alla volontà di creare un paese unitario. Che so: cosa sarebbe accaduto se i Borboni si fossero opposti a Garibaldi facendo sentire la propria voce con un messaggio a reti unificate? Quante persone gli si sarebbero strette attorno in segno di solidarietà? Sarebbe stata possibile l'impresa dei mille?
Esempio due, un po' più recente: Papa Giovanni Paolo II. La sua figura è così importante anche perché è stato il primo Pontefice a vivere in "real-time". I mezzi di comunicazione ne hanno fissato la sua straordinaria figura, i suoi modi di fare, il suo parlare al mondo. Una possibilità che, andando a ritroso nel tempo, decine e decine di suoi predecessori non hanno avuto. Ovvio allora che molti lo vedano vittorioso in un ipotetico confronto con Benedetto XVI: più vicino, più capace di comunicare, più "simpatico". Giudizi come questi sono oggettivi o viziati da ciò che vediamo in tv?
Insomma: se l'opportunità di fissare un'idea è sicuramente una preziosa risorsa, quanto e in che modo essa può cambiare il nostro modo di pensare? Quanto può cambiare il concetto stesso di essere umano?

mercoledì 16 aprile 2008

Grazie


Foto di PDnetwork
L'ho più volte detto a me stesso e su questo blog: uno stesso evento può scatenare reazioni differenti. Il bello sta nel saperle esplorare e lasciarle sempre aperte. Questo spazio l'ho voluto proprio per poter far tutto questo.
Ed è proprio con questa volontà che torno ad affrontare il tema delle elezioni. Lasciando da parte la delusione per un risultato che non avrei voluto e andando a ripescare ciò che di buono ho visto e sentito in questi mesi di campagna elettorale.

A discapito di tutti quelli che parlano di cannibalizzazione del voto, di un PD che ha riesumato e portato alla vittoria Berlusconi, di una sinistra radicale scomparsa per mano di Veltroni dico innanzi tutto che al voto ci si arriva con determinati strumenti, certe persone, certi partiti. Sta all'elettore, agli elettori scegliere come usarli e quali usare. Non ci sono né colpe né meriti sotto questo profilo.
Peccato. Veltroni poteva essere un ottimo Presidente del Consiglio. Anche se è andata male, vorrei rivolgergli un mio personalissimo ringraziamento.
Come ho già detto in passato, la mia attenzione e le mie speranze erano riposte su Walter perché ha saputo riportare in campagna elettorale temi scomparsi da troppo tempo: ha parlato di legalità, di morale, di bene comune, di felicità, di serenità, di viaggio, di rischi, di opportunità. Ha volutamente messo al centro la volontà di non adeguarsi a certe parole, a certi modi di fare, al malcostume sociale ed etico, ancor prima che politico.
La sua è stata una campagna elettorale intensa, ricca, interessante. Una sfida così grande nessuno l'aveva mai accettata. Mai si era visto un giro d'Italia così bello in soli due mesi. Per me è stato un vero piacere seguirlo, specie quando ha fatto tappa nella mia città.
Il ritorno nelle strade, nelle piazze, tra la gente della politica, quella vera. Non strombazzata in televisione. Ogni città un bagno di folla, ogni piazza un discorso serio, ampio, vivo. Splendidi, davvero splendidi quelli a Napoli, Bologna, Milano e soprattutto Roma.
Certo, se dico certe cose è perché mi sono lasciato trascinare da quelle parole, l'onda dell'emotività è difficile da arginare. So anche che, di questi tempi, fidarsi troppo di un politico può essere rischioso. Beh, credo che come contraltare alle parole, volatili per loro stessa definizione, ci fosse una base solida fatta di progetti, programmi chiari, coerenza, voglia di cambiare pagina.
Peccato che tutto questo non si sia tradotto in voti. Pazienza. Ora però non c'è tempo per avvilirsi o leccare le ferite. Subito al lavoro, perché un Italia moderna, anche se non oggi, si può fare!

martedì 15 aprile 2008

Ancora?


Foto di Enrico Maioli
Gli ultimi giorni di campagna elettorale li ho vissuti intensamente, tra gioia e tante speranze. Un po' per appuntare le mie impressioni ed un po' per andare incontro ai cosiddetti "indecisi", avevo deciso di buttar giù qualche riga: un breve riassunto della situazione sociale e politica del nostro paese, un modo per capire da dove arriviamo e dove saremmo potuti andare dopo le elezioni.
Poi, però, ho aspettato, ho lasciato che le cose andassero con la corrente ed alla fine non ho fatto leggere a nessuno ciò che avevo scritto. Lo faccio ora. L'idea, inizialmente, era quella di descrivere quanto profondo sarebbe potuto essere il pozzo in cui ci saremmo cacciati se avesse vinto la destra. Ora, drammaticamente, è diventato il racconto di un film già visto e che saremo costretti a rivedere. Perché la destra, questa destra, di nuovo con Silvio Berlusconi tornerà a governare l'Italia.
Il mio voto è andato con grande fiducia al PD e a Walter Veltroni. E' stato un voto "per" qualcuno, innanzi tutto. Ma se è vero che i "per" sono molto più difficili da condividere, il mio tentativo era, per lo meno, di far capire agli altri tutti i "contro" che mi stavano a cuore e che si concentravano in quel segno sulla scheda.
Ecco, allora, i miei "contro", dinnanzi ai quali bisogna essere ancora capaci di indignarsi, fatti e fatterelli cui non ci si deve, non ci si può abituare.
Sono contro chi definisce eroe un mafioso, pluriomicida e condannato per mafia. Ma dico, questo signore si rende conto di cosa dice? Sono contro chi dice queste cose per accaparrarsi voti macchiati dalla mafia. Sono contro chi definisce l'antimafia un "marchio" dietro il quale molti si nascondono.
Sono contro chi calpesta le massime autorità dello Stato, arrivando a chiedere le dimissioni del Presidente della Repubblica. Sono contro chi da del coglione a chi non la pensa come lui. Sono contro a chi ha nelle proprie liste delle persone con problemi con la legge (lui in primis). Sono contro a chi ha nella propria coalizione secessionisti, nordisti, sudisti, ex-post-neo-fascisti. Basta! Certi capitoli si devono chiudere! Sono contro chi definisce "una battuta" il voler "imbracciare i fucili".
Sono contro chi gioca a Monopoli con l'Alitalia, per ottenere un pugno di voti in più. Sono contro chi vuol governare il paese senza riconoscere l'importanza del 25 aprile, delle forze anche comuniste (sì, che male c'è?) che hanno rimesso in piedi questo paese, della Costituzione, del tricolore, dell'inno. Sono contro chi non è disposto ad assicurare lealtà alla Repubblica. Sono contro chi è contro Totti (e anche chi è contro Zoff).
Sono contro chi dice che "se lo Stato chiede troppo, allora è giusto cercare altre vie". Sono contro chi parla di famiglia, poi di famiglie ne ha due e nel tempo libero si trastulla con quelle del Grande Fratello. Sono contro chi dice che i magistrati sono tutti rossi, che agiscono solo su base politica, che dovrebbero fare periodicamente il test di sanità mentale. Ma che idea di legalità offre alla gente? Perché si può permettere di calpestarla bellamente? Che caspita di guida sei se parli così? Di chi ci si deve fidare se getti fango in questo modo?
Sono contro chi da del "kapò" a un socialista, con Fini (Fini!) che in quel momento avrebbe voluto sprofondare o essere da un'altra parte. Sono contro chi non ragiona, non sente, non s'informa, non costruisce insieme, magari ci volessero anni, ma preferisce montare e rismontare un partito dall'alto di un predellino. Sono contro chi riduce idee al comunismo ad una macchietta, fa di tutto per distruggerlo, e poi lo usa continuamente come leva per suscitare un po' di paura. Ma allora che cavolo hai parlato a fare per tutti questi anni? Hai combattuto contro i mulini a vento.
Sono contro chi parla di libertà, a chi prima ci costruisce attorno una "casa" e poi lo allarga ad un "popolo" anche se non s'è mai capito "libertà da cosa". Sono contro a chi fa politica con 3 televisioni+digitale terreste+giornali+case editrici (+aziende+banche+varie ed eventuali) che gli coprono le spalle. Sono contro chi straccia i programmi degli altri. Sono contro chi denuncia brogli solo quando perde. Sono contro chi cambia le regole del gioco solo per rendere la partita più confusionaria, così almeno, se proprio non ha avuto ragione lui, non l'avranno nemmeno gli altri.
Sono contro a chi non ha senso dello Stato, chi pensa di poter calpestare tutto e tutti riducendo ogni cosa ad uno scontro fra due parti, chi non si propone di guidare il paese con serietà: guidare, non solo governare. Distribuendo, quindi, non solo leggi ma riportando un po' di etica, di morale, di legalità.
Io spero sempre nella buona fede e nelle capacità positive che sono dentro ogni uomo e ogni donna. Mi auguro, per questo, che dentro il Sig. Berlusconi ci sia anche dell'altro, qualcosa di più positivo. Ci credo poco, ma ci spero.
Ad ogni modo, per sommi capi è in questo mare in tempesta che l'Italia, ancora, per la terza volta, si è gettata. Speriamo di uscirne sani e salvi.

giovedì 10 aprile 2008

Chi è la vittima e chi il carnefice


Foto di contatto diretto
L'idea originaria di questo blog era quella di poter considerare alcuni temi con un certo distacco. Un'idea ancora valida, per carità. Però mi rendo sempre più conto di come l'attualità, se conosciuta almeno un poco, travolga tutto e tutti. Ti impone di riflettere.
L'attualità cui faccio riferimento è ovviamente quella di stampo politico. Lo ripeto, avrei voluto pensare e parlare d'altro. Ma proprio non ce la faccio a rimanere zitto di fronte a certe bestialità.
Ho ripensato a quanto successo ieri. A ciò che hanno affermato Dell'Utri prima e Berlusconi poi. Mangano è un eroe. Vittorio Mangano. Un eroe. E' uno scherzo, vero? No, purtroppo no: questi signori non scherzano. Fanno sul serio. E a me viene quasi da piangere.
Vittorio Mangano è un criminale. Punto. Pluriomicida, mafioso e condannato a suo tempo all'ergastolo. Ci sarebbe molto altro: per un suo curriculum vitae più dettagliato, basta fare clic qui.
Vittorio Mangano non è un eroe. Non si diventa eroi solo perché non si getta fango sui Dell'Utri e sui Berlusconi. Eroe è chi serve lo Stato, chi ha combattuto la mafia, chi ha dichiarato guerra a quella morale distorta. Chi è morto per tutto questo. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, tutti i morti ammazzati per mano della mafia sono eroi.
Ecco chi si vuol candidare alla Presidenza del Consiglio: uno che confonde vittime e carnefici, gli eroi con le bestie, il bene comune coi propri interessi. Doloroso scrivere queste righe, perché mi sembra di vivere in un fatato regno dell'assurdo, dove tutto è ammesso, tutto è possibile, tutto si può mistificare.
Con dichiarazioni di questo tipo, se solo fossero nati in un altro paese, il signori Dell'Utri e Berlusconi sarebbero stati presi per le orecchie e cacciati fuori dalla vita politica a calci nel culo.
Da noi, invece, bestialità di questo tipo servono solo ad ottenere i voti dei mafiosi.
Ma che schifo. Vergogna!

mercoledì 9 aprile 2008

Piccole differenze


Foto di PDnetwork
Tanti ragionamenti e idee si sono accavallati in questi giorni fra i miei pensieri. Gran parte di questi in merito alla campagna elettorale ormai agli sgoccioli ed altri di varia natura. Difficile scegliere. Mi ero riproposto di accantonare, almeno per un poco, la politica. Almeno di questo ero certo.
E invece ho deciso di tornare a parlarne perché in questi ultimi giorni ne sono successe di cotte e di crude. Gli attacchi un po' sbracati e ricchi di gaffes da sono giunti copiosi come non mai. Da destra, ovviamente. Tentando di ragionarci su, cercavo le parole per descriverli, per stigmatizzarli, per osservarli a fondo anche in previsione futura: con queste premesse, come può tornare al governo questa coalizione così cialtrona, facilona, raffazzonata? Come descrivere le non poche differenze che intercorrono fra una parte e l'altra? Come metterle in evidenza?
Su Repubblica oggi è uscito un articolo molto interessante, serio, preciso. Me ne servirò per tentare di rispondere a queste domande. Da solo difficilmente ci sarei riuscito. Lo ha scritto Sebastiano Messina, s'intitola 'La pancia della destra':
Non è niente male, "Veltrusconi", come slogan propagandistico. Rende benissimo l'idea di due che fingono di litigare ma, sotto sotto, sono d'accordo. Anzi, "già fanno le stesse cose", ci spiega il serafico Boselli. "Come i ladri di Pisa" sussurra giudizioso Casini. Eppure "Veltrusconi" è la più gigantesca bufala di questa arruffata caccia al voto. Per capirlo, basta fermarsi un momento ad ascoltare quello che succede in un giorno di campagna elettorale. Prendiamo ieri.
L'ultimo martedì prima del voto si è aperto con un amletico dubbio sul futuro politico di Umberto Bossi: sarà di nuovo ministro, se vince il centro-destra? Tornerà davvero al governo, giurando fedeltà a una Repubblica che disprezza, uno che ancora lancia minacce "ai romani" con la burbanza di Brenno ed è capace di dire che se non si fa subito come dice lui "potremmo imbracciare i fucili"? Un imbarazzato Berlusconi svicolava, spiegando che Umberto, lo sanno tutti, non sta poi benissimo, e poi in fondo non gli ha chiesto nessuna poltrona, ma ci voleva il leghista Borghezio a mettere le cose in chiaro: se Bossi non fa il ministro, avvertiva "allora tanto vale riprendere la lotta dura e pura", ovvero "la secessione, l'unica via rapida e giusta per ottenere la libertà".
E mentre noi ci domandavamo se fosse quella evocata da Borghezio la "libertà" che Berlusconi ha voluto nelle sue insegne, ecco che si apriva un nuovo e non meno sconcertante fronte. Il senatore Marcello Dell'Utri, che è la vera eminenza grigia della corte berlusconiana, pensa che sia arrivato il momento di aprire un discorso sulla Resistenza. Che lui scrive rigorosamente senza la maiuscola, perchè la trova enfatica e pomposa. "Se dovessimo vincere le elezioni - ha promesso l'uomo che costruì Forza Italia in un mese - saranno revisionati i libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della resistenza". Magari potrebbero pensarci il senatore Ciarrapico e l'onorevole Mussolini, chissà.
Già che c'era, il senatore [...] ha pensato bene di togliere un po' di retorica anche all'antimafia, paragonandola a una "sorta di brand", un marchio pubblicitario. E rivalutando il suo vecchio amico Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore che venne sì condannato in primo grado all'ergastolo per mafia, però non volle mai accusare lui e Berlusconi, e dunque "è un eroe". [...]
Poteva bastare. Ma Berlusconi, da Savona, ha voluto metterci il carico da undici. Contro quelli che lui considera il pericolo pubblico numero uno: i magistrati. "Il pubblico accusatore deve essere sottoposto periodicamente a esami che ne attestino la sanità mentale". [...]
Dalla sponda opposta [...] non sono arrivate parole di fuoco. Sono partite, semplicemente, una telefonata e una lettera. Una telefonata di solidarietà al pm di Catanzaro Pier Paolo Bruni [...]. E una lettera per il suo avversario.
Veltroni invitava Berlusconi a dare "formalmente e in modo vincolante" una "garanzia di lealtà repubblicana" per tutta la sua coalizione: difesa dell'unità nazionale, rifiuto di ogni forma di violenza, fedeltà ai valori della Costituzione, rispetto per il tricolore e l'inno di Mameli. [...]
Quello che alla stragrande maggioranza degli italiani sarebbe sembrato un impegno scontato è stato immediatamente evitato da Berlusconi come se fosse una trappola comunista. Invito "irricevibile". E perché? Perché Veltroni - ha spiegato il leader del Pdl rigirando la frittata - "non ha alcun titolo per dare patenti di lealtà repubblicana".
E i fucili minacciati da Bossi? E la secessione promessa da Borghezio? E l'antifascismo che Dell'Utri vuole ridimensionare, riscrivendo la storia come se fosse una fiction di Canale 5? Ma via, Veltroni non stia a spaccare il capello. Gli italiani conoscono Berlusconi, hanno già capito che, se lui vince, stavolta si fa a modo suo. Altro che "Veltrusconi".
Un bell'articolo, forse troppo lungo per i canoni di un blog ma da leggere per intero. Per capire. Per descrivere le premesse di questa tornata elettorale. Un domani, nel bene e nel male, ne vedremo le conseguenze.